Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 25 Aprile 2020
Categoria: Di Libri di altro

Il 25 Aprile 75° Anniversario della Liberazione

In un momento in cui si mettono in discussione, non solo i valori della Resistenza al nazifascismo, in cui si vogliono equiparare i ruoli dei carnefici con le Vittime, ci sembra doveroso chiedersi cosa stia succedendo.

Nei social i nipotini della cultura della violenza, dell'odio, dei massacri, dei genocidi stanno facendo sentire la loro voce con atteggiamenti, per ora solo verbali, ma provocatori, per creare quel clima di paura che, purtroppo, da qualche decennio alberga nel nostro Paese.

Quindi ci sembra doveroso, oltreché giusto, chiedersi cosa stia succedendo oggi in quell'Italia che, dopo vent'anni di dittatura fascista, seppe rialzare la testa, scrivendo una Costituzione liberale e democratica mettendo al centro l'Uomo. Quell'Uomo vessato, martirizzato, mandato a morire nei paesi più lontani e nei campi di concentramento. E credo sia arrivato il tempo di interrogarci sul grado di indifferenza alla quale, ognuno di noi, si è assuefatto.

E' oggi in Italia in atto un dibattito, e non solo in Italia, in un'ottica pericolosa, a parer nostro, di revisionismo storico che coinvolge le scelte che i giovani, soprattutto i giovani, fecero durante il fascismo ed il periodo che abbraccia l'8 settembre 1943 ed il 25 aprile 1945.

Oggi è un obbligo civile di ogni democratico testimoniare fedeltà a quegli avvenimenti, alle scelte di quel tempo. Testimoniare una volontà contro chi cerca pretestuosamente di inserire ipotetici "nuovi elementi" , per una rivisitazione di quel tragico ventennio, che ebbe come sbocco drammatico la partecipazione dell'Italia al secondo conflitto mondiale. Non si riesce a capire cosa voglia dire "bisogna arrivare ad una pacificazione". Ma prima bisogna riconoscere che "pacificare" non significa confondere i Martiri con i carnefici; gli Amanti della libertà e dei sistemi democratici e quelli che hanno soffocato ogni parvenza di democrazia.

In Italia ci si è mossi in tre direttive.

guerra di liberazione: combattuta contro i nazifascismi;

guerra civile: tra cittadini italiani di diversa appartenenza politica ed ideale;

guerra di classe: operai contro padroni.

Queste tre direttive, elaborate dallo storico Claudio Pavone, danno sicuramente un quadro testuale di ciò che avvenne in Italia, diversamente che negli altri Paesi europei, dove si è combattuto la sola guerra di liberazione, con sporadici casi di azioni militari contro i collaborazionisti.

Guerra di liberazione.

Chi ha presente una carta Europea del 1939 al 1942 può valutare, nella sua massima espansione, le conquiste del III° Reich ad esclusione della Spagna, Turchia, Svizzera, Svezia e Irlanda, che erano riuscite a mantenere la loro neutralità, e dell'Inghilterra e parte dell'Unione Sovietica che rappresentavano l'unico baluardo di libertà europea.

Bisogna attendere il 1943, nel frattempo gli Stati Uniti d'America erano entrati in guerra, per valutare l'offensiva degli Alleati ed il grande ruolo che ebbe la Resistenza Europea nella lotta contro le forze nazifasciste. Leggiamo, e fate leggere, il bellissimo libro, "Lettere di condannati a morte della Resistenza Europea", edizioni Einaudi , con una prefazione di Thomas Mann.

Ogni Paese ebbe la sua Resistenza nazionale. E possiamo trovare le "Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana" presso gli Oscar Mondadori.

Nei Paesi alleati con la Germania ( Italia, Romania, Bulgaria, e Ungheria), la Resistenza ebbe inizio non appena si instaurarono i regimi fascisti in questi Paesi. Resistenze che si innervarono subito nella guerra di Liberazione combattendo accanto alle Forze Alleate, durante il secondo conflitto mondiale. 

Guerra civile

E' innegabile che in Italia la guerra civile ebbe momenti drammatici, frutto di sofferenze, di incomprensioni, di sopraffazioni maturate nel ventennio di dittatura fascista.

Ci fu una reazione che solo, dopo una contestualizzazione di quei fatti e di quei mesi, può essere compresa in tutta la sua drammaticità.

Ma soprattutto la lotta assume carattere di guerra civile nei venti mesi, che hanno visto il Paese spaccato in due. Le atrocità commesse durante la ritirata delle truppe tedesche, intere comunità distrutte e migliaia di inermi cittadini uccisi, dopo essere stati barbaramente torturati hanno innescato un clima di violenza tale che è stato ricordato da molti poeti e da tanti scrittori con la tragica metafora di Caino ed Abele.

Guerra di classe

Il regime fascista era stato messo in crisi anche, se non soprattutto, dagli operai che non esitarono ad organizzare i grandi scioperi nele città industriali in attesa, e poco prima, della Liberazione.

Perché abbiamo definito pericolosa l'interpretazione e il giudizio paritario, tra giovani che aderirono, o furono costretti, al fascismo dopo l'8 settembre 1943, e quelli che scelsero la "montagna" con le brigate partigiane?

Nel far credere che schierarsi con gli Alleati o con le SS tedesche, fosse la stessa cosa e che, comunque, le scelte di questi giovani meritano rispetto?

La pietà, non il rispetto, non va negata a nessuno. 

Cosa avvenne, dopo la liberazione di Benito Mussolini sul Gran Sasso ad opera delle truppe tedesche?

Si diede vita ad una fantomatica Repubblica Sociale Italiana, nota anche come Repubblica di Salò. I tedeschi cercarono di far risorgere dalle sue ceneri il governo fascista. Governo, insediatosi sul lago di Garda, preso atto del disfacimento dell'esercito, puntò anche sulla ricostruzione di un corpo militare autonomo per accreditare di fronte alla opinione pubblica, e soprattutto presso l'alleato-padrone germanico, la propria fisionomia di potere legittimo ed effettivo. 

Braccati in ogni luogo, grazie alla solidarietà di privati, di comitati di soccorso dei partiti antifascisti e di varie chiese, dalla valdese alla cattolica, molti ebrei trovarono scampo in Svizzera.

Questi sono fatti che trovano veridicità proprio in quegli atti ufficiali di quella famigerata Repubblica Sociale Italiana.

Ma la pericolosità consiste anche nel far passare, in un momento in cui imperversano slogan a ruota libera, come personaggi di secondo ordine uomini che sacrificarono le loro esistenze. Chi sente più parlare oggi di Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, Leo Valiani, Lelio Basso, Piero Calamandrei per limitarci ad alcune figure nobili che hanno contribuito alla nascita di questa nostra Repubblica?

Un altro antifascista e partigiano delle langhe piemontesi, Franco Antonicelli, in una splendida lezione tenuta al teatro Alfieri di Torino nel 1960, ricordava un giovane diciannovenne di Parma, Giacomo Ulivi, che nel 1944 era stato torturato e fucilato dai repubblichini.

Questo giovane, prima di morire, aveva fatto recapitare una lettera ai famigliari e agli amici. Una lettera nella quale ragionava delle proprie colpe, cioè delle colpe della sua generazione, tenuta lontana, con un lavoro sistematico di diseducazione, dalla responsabilità della vita politica.

Potremmo dire: ieri come oggi.

Il giovane Ulivi traeva, alla fine, queste conclusioni: " Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo?".

Non permettiamo a nessuno di scardinare i pilastri su cui poggiano quella lotta, quei morti, l'affossamento della Monarchia, la nascita della Repubblica, la nostra Carta Costituzionale.

Ricordiamocene. E non solo oggi. Ma in ogni momento delle nostre giornate. 

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