Ignazio Cutrò ha denunciato la mafia. Era un imprenditore e paradossalmente quella denuncia è stata anche l'inizio della fine. Ma almeno, può aver pensato, oltre ad aver lanciato un messaggio importante di dignità e di libertà, oltre a non essermi piegato al condizionamento, al ricatto dei poteri criminali, così ho salvato la mia famiglia, i miei cari. Dalla morte, perché, in seguito alla denuncia, i mafiosi lo hanno ripetutamente minacciato di morte. Lui ha fatto appello allo Stato, e ha ottenuto una scorta per sè ed una per i propri familiari. Quest'ultima, tuttavia, è stata revocata. Per lo Stato, per chi lo rappresenta, i familiari di Ignazio Cutrò possono girare senza alcuna protezione. Fuori da ogni bon ton o garbo istituzionale che chi ha messo nero su bianco su questo incommentabile provvedimento non merita, possono anche morire. Lo sappiano di mafiosi, lo sappiano coloro che sono stati denunciati da questi imprenditore coraggioso. I familiari di Ignazio sono ormai soli, chi ha conti da regolare con chi li ha portati davanti a un giudice, e poi in galera, sappia che questo è il momento opportuno per farlo, con un bel timbro di un dirigente ministeriale.
Incredibile quanto sta accadendo in Sicilia e, sicuramente, da tante altre parti d'Italia. Con uno Stato che spende e spande, Ma che sente il bisogno poi di risparmiare qualche spicciolo mettendo inevitabilmente a rischio la pelle di chi ha avuto il coraggio di denunciare anche quando i rappresentanti delle istituzioni, o molti di essi, erano silenti, oppure compiacenti, oppure complici. Un provvedimento vigliacco concepito da vigliacchi, rispetto al quale non si può chinare la testa. Per primo, non lo ha fatto proprio Cutrò. Il quale ha preso carta e penna e ha fatto sapere proprio a quei grigi funzionari che se i suoi cari potevano girare senza alcuna protezione, lo stesso avrebbe fatto lui. Un messaggio chiaro, da persona dalla schiena dritta. Perché nessuno può denunciare sulla pelle degli altri, il sangue del proprio sangue. Mi facciano pure fuori insieme ai miei cari, ha detto allo Stato Ignazio Cutrò. E ha fatto bene. Rimane lo sconcerto per questo mondo al contrario, nel quale vince la prepotenza, l'arbitrio e dove i potenti si fanno scudo della pelle degli altri, invece che andare essi stessi nelle terre di frontiera e rischiare di farsi ammazzare.
"Dato che hanno tolto la protezione alla mia famiglia, ho rinunciato alla scorta personale perché voglio che sia io bersaglio della mafia e che non tocchino la mia famiglia" ha affermato Cutrò ai microfoni della trasmissione "Cosa succede in città" condotta da Emanuela Valente su Radio Cusano Campus, emittente dell'Università Niccolò Cusano.
Noi non abbiamo voluto abbandonare la nostra terra, sono convinto che chi deve lasciare questa terra sono quei pezzi di merda dei mafiosi e non certo noi, quindi se ne devono andare loro –ha affermato Cutrò-. Se lo Stato si sente così forte deve togliere i mafiosi dalle nostre terre e lasciare solo la gente onesta. Se rimane solo la gente onesta, allora a quel punto puoi togliere anche le scorte. Ma finchè i mafiosi scontano le loro pene e poi rimangono lì a continuare a comandare in queste terre, allora ci stanno consegnando alle mafie. L'11 gennaio 2018 ci hanno fatto uscire dal programma testimoni di giustizia perché secondo la Prefettura e la DDA non ci sono più rischi per la mia famiglia. Il 23 gennaio 2018 ci fu un'operazione con tantissimi arresti in cui uscirono fuori intercettazioni telefoniche di due presunti boss che oggi stanno entrambi al 41 bis. Uno dei boss, andando a Bivona a trovare l'altro, diceva a uno che era con lui in macchina che era sicuro che prima o poi mi avrebbero tolto la scorta e loro mi avrebbero ammazzato. Queste persone non erano parte del mio processo, a loro aveva dato fastidio che io in quel territorio avevo fatto casini, avevo fatto denunciare alcune persone. Le istituzioni hanno fatto finta che queste intercettazioni non esistessero. Siccome io devo proteggere la mia famiglia ho rinunciato alla scorta personale, perché voglio che sia io bersaglio della mafia e che non tocchino la mia famiglia. Sapendo che io cammino per le strade di Bivona da solo dovrei essere io l'obiettivo". Ed ancora: "Io ho denunciato la mafia e lo rifarei perché così posso tornare a casa e guardare i miei figli negli occhi. Consiglio a tutti i commercianti e gli imprenditori di denunciare. Lo Stato siamo noi e quindi è giusto che sia così. Quando la deputata del M5S Ajello ha fatto un'interrogazione parlamentare sulla mia situazione, il sottosegretario della Lega ha detto che il referente territoriale di Agrigento scrive che quelle intercettazioni non esistevano, erano frutto di fantasie giornalistiche. Ma allora, se quelle intercettazioni non esistono, come mai io sono stato riconosciuto parte lesa in quell'inchiesta? C'è qualcosa che non va. Oppure doveva essere tolta la scorta a Ignazio Cutrò in quanto ha dato voce ai testimoni di giustizia? Forse ho dato fastidio. Il risultato è che in Italia si deve stare zitti. Il sogno di Falcone e Borsellino che un giorno gli imprenditori e i cittadini si sarebbero ribellati si è realizzato, ma le istituzioni questi cittadini li hanno abbandonati. Togliendo la scorta alla mia famiglia che messaggio hanno mandato le istituzioni? Se denunci fai la fine di Ignazio Cutrò. Ma io continuo a dire che le denunce vanno fatte. Ora se io dovessi denunciare, il giorno prima porterei la mia famiglia fuori dall'Italia e poi tornerei e denuncerei. Non credo più in una parte dello Stato, ci hanno traditi. Quando una parte di istituzioni ti considera una spesa, ti considera un peso, ti tratta come merce di scambio e poi si dimentica che siamo dei morti che camminano allora non hanno capito niente. Si dovrebbero vergognare quando vanno a fare le commemorazioni delle vittime innocenti di mafia. Se vogliono che queste vittime non ci siano più, allora devono iniziare a fare le giuste valutazioni".