Prima di essere collocato a "meritata quiescenza" (lo so che è un luogo comune abusato, ma fa sempre piacere sentirselo dire!).
Ogni anno prima dell'apertura delle scuole preparavo, sempre, un paio di concetti, raggranellati un po' qua un po' là, e me li portavo dietro per tutto l'anno.
Concetti semplici che mi aiutavano moltissimo durante l'anno ogni qualvolta una domanda, anche se bizzarra, di qualche allievo creava un certo subbuglio in classe o per l'originalità o per la provocazione.
Ricordo un anno in cui un giovane studente suggerì: "Non c'è cosa più terrificante dell'ignoranza attiva". Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832) uno straordinario scrittore, poeta e drammaturgo tedesco. Considerato dalla scrittrice George Eliot «...uno dei più grandi letterati tedeschi e l'ultimo uomo universale a camminare sulla terra» e viene solitamente reputato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo.
"La sua attività fu rivolta alla poesia, al dramma, alla letteratura, alla teologia, alla filosofia, all'umanismo e alle scienze, ma fu prolifico anche nella pittura, nella musica e nelle altre arti. Il suo magnum opus è il Faust, un'opera monumentale alla quale lavorò per oltre sessant'anni".
Mi auguro, anzi ne sono quasi certo, che non mancano, ancora oggi, ragazzini vivaci che, di tanto in tanto, si interessano di letteratura, di storia, geografia, economia…!
A me, questo ricordo, ha suggerito una riflessione su "questa rivoluzione copernicana a 360 gradi". Non a "370", come abbiamo potuto ascoltare qualche settimana fa da esponente dell'attuale governo che, nella foga di un dibattito, è incorsa in un "lapsus"!
Lo dico in maniera pacifica, e serena, senza voler recare danno o offesa a nessuno, ma non mi dispiacerebbe se la politica cominciasse a porre una maggiore attenzione, sociale e politica all'istruzione e alla scuola, per cercare di aumentare il livello di comprensione, di argomentazione per una buona e normalissima educazione scolastica.
Non penso sia una perdita di tempo riprendere il filo culturale interrotto dopo l'euforia, sacrosante, della fine della Seconda guerra mondiale.
Con serenità e pacatezza, riflettendo e argomentando ogni idea, nostra o dai nostri interlocutori, e con linguaggi appropriati.
Il pensiero richiama alla mente un sociologo tedesco, non ricordo il nome, e di cui avevo letto un suo articolo sul settimanale "L'Espresso" nei primi numeri della sua pubblicazione. Eravamo all'inizio degli Anni Sessanta. Il titolo mi aveva impressionato: "La cancrena del futuro sarà la comunicazione".
Sarebbe gioco facile, oggi, arricchire questi due concetti con argomenti di attualità.
E' sufficiente assistere, certo bisogna essere di "stomaco forte", ad un dibattito televisivo con gli "schowmen" della politica italiana per rendersi conto di quanto fossero forieri di sventure le preoccupazioni del sociologo tedesco.
Per ciò che riguarda l'Italia è notoria la spaccatura verticale tra le due Italie.
E non da oggi.
Una storia del nostro recente passato.
Ha inizio con Silvio Berlusconi e con la sua "storica" discesa in campo.
Per primo aveva capito, a suo dire, che "…l'italiano medio è da considerarsi un bambino di appena undici anni. E nemmeno troppo furbo". Così come ebbe ad affermare a Montecarlo in un corso di formazione per acquisitori di pubblicità per la sua azienda "Publitalia", messa in piedi con l'aiuto del senatore Marcello Dell'Utri, suo sodale.
Ora al di là delle affermazioni di principio, a volte anche espresse in maniera dozzinale, il problema della comunicazione, e dell'uso che ne viene fatto, innegabilmente ci sembra che abbia robuste argomentazioni per creare serie preoccupazioni.
Nel lontano 2007 Adriano Sofri, dalle pagine di "la Repubblica" del 26 agosto, a proposito della cacciata dei Rom dalla Francia di Sarkozy mette il dito sulla piaga dei tanti luoghi comuni che fanno presa sulla pubblica opinione che pratica la cultura, per dirla con Goehte, dell' "ignoranza attiva".
Scrive Sofri: "Il tempo che passa nell'ignoranza vuol dire che i superstiti scompaiono e la testimonianza della verità viene più offuscata. Poiché tutto quello che riguarda 'gli zingari' è speciale, anche l'ignoranza su di loro lo è, e non solo sullo sterminio. Tanto il loro nome fantastico è presente e intimo alla vita europea, Carmen e le canzonette e i modi di dire, quanto colossale è la misconoscenza. Domandate a qualcuno – a voi stessi per cominciare – quanti sono gli "zingari" in Italia, e poi confrontate le risposte. Domandate quanti sono, in proporzione fra loro, i cittadini italiani. Domandate quale sia la loro età media, e quale la durata media della loro vita, e quanto pesino i loro neonati – a paragone coi dati corrispondenti della brava gente e dei ministri. Eppure, i libri e le ricerche affidabili, sono oramai numerosi, e i film e i romanzi e la musica, e Internet è una miniera favolosa è accessibile; e al tempo stesso un giacimento di ripugnanti esibizioni di quella bestiale e frustrata violenza".
Ieri gli zingari. Oggi i migranti.
Perché riteniamo che la scuola, anche se in condizioni non ottimali, possa giocare un ruolo positivo nell'attenuare, non dico eliminare, per amor di dio, questa tendenza all' "ignoranza attiva". Certezze nell'immaginario collettivo che quasi mai corrispondono a realtà.
Il problema è la parola e l'uso distorto che se ne fa, così come pensieroso amava ripetere Gesualdo Bufalino, anche egli, inizio Anni Sessanta, ne reclamava la dignità.