I genitori che interrompono o turbano le lezioni a scuola per prelevare il figlio, senza autorizzazione, assumono una condotta penalmente rilevante che integra la fattispecie di reato di cui all'art. 340 c.p., ossia il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità.
Questo è quanto ha statuito la Corte di Cassazione, Sez. Penale, con sentenza n. 28213 del 9 ottobre 2020.
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.
I fatti di causa
L'imputata è ha impugnato la sentenza della Corte d'appello che ha confermato la decisione di primo grado con cui la stessa è stata condannata per il reato di cui all'art. 340 c.p. In buona sostanza, in forza della ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di secondo grado, è accaduto che la ricorrente è sopraggiunta a scuola del figlio al fine di prelevarlo, senza autorizzazione e aggredendo verbalmente un collaboratore scolastico. Con detto comportamento, secondo la Corte d'appello, la ricorrente «ha determinato una agitazione tale da indurre a interrompere le attività didattiche» in quanto alunni e docenti si sono affacciati nel corridoio per vedere cosa stesse succedendo. Un'interruzione, questa, durata circa dieci minuti. Orbene, il caso è giunto in Corte di cassazione in quanto, ad avviso dell'imputata:
- l'illecito penale in questione per cui è stata condannata richiede per la sua integrazione una incidenza del comportamento dell'agente sul funzionamento dell'ufficio nel suo complesso, che nella specie ha regolarmente continuato a funzionare;
- nel caso esaminato dal Giudice d'appello è stata omessa «la valutazione di apprezzabilità dell'interruzione non essendo stato neanche chiarito per quanti alunni e insegnanti si è ingenerata la agitazione generale e per quale ragione le lezioni sono state interrotte per quel lasso di tempo»;
- nella sentenza impugnata i) è stato ricostruito «l'elemento soggettivo del reato in termini di dolo eventuale senza alcuna motivazione circa la sua rappresentazione da parte della ricorrente che sapeva che il figlio che si era recata a prelevare era in segreteria con l'operatore scolastico e non in classe; ii) è stato omesso il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, essendosi in presenza di una condotta episodica, del resto dimostrata dallo stato di incensuratezza dell'imputata, e sicuramente esigua in considerazione del breve lasso temporale interessato».
Ripercorriamo nel dettaglio l'iter logico-giuridico seguito dalla Corte di cassazione adita.
La decisione della SC
Innanzitutto appare opportuno soffermarci sul reato di cui all'art. 340 c.p. Secondo tale disposizione, primo comma, «chiunque, fuori dei casi presti da particolari disposizioni di legge cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno». Orbene, in forza della ricostruzione del Giudice di merito, la condotta della ricorrente integra la fattispecie di detto reato.
Ad avviso della Corte di cassazione, detta ricostruzione è esente da vizi logici e giuridici e dalla stessa di evince la realizzazione di un danno al regolare svolgimento dell'attività scolastica essendo incontestato che «l'introduzione nella scuola dell'imputata in orario non a ciò previsto, utilizzando una porta secondaria retrostante dell'istituto, prelevando il proprio figlio senza alcuna comunicazione e autorizzazione, con quel che ne è seguito in termini di aggressione verbale nei confronti della collaboratrice, ha fatto sì che si determinasse tra gli alunni e gli insegnanti in generale un'agitazione tale da indurli a interrompere le attività didattiche e affacciarsi dalle aule per capire cosa stesse succedendo e intervenire opportunamente, assieme alla dirigente scolastica». Questa condotta, secondo i Giudici di legittimità, è sufficiente a integrare il reato di cui all'art. 340 c.p. in quanto il comportamento dell'imputata, sebbene non abbia determinato l'interruzione o il turbamento delle lezioni a scuola e quindi l'interruzione o il turbamento di un servizio pubblico, nella sua totalità, ha indubbiamente compromesso il regolare svolgimento di una parte di esso (Cass. pen, Sez. 6 n. 1334 del 12/12/2018 Ud. (dep. 2019), Rv. 274836). A parere della Corte di cassazione, infatti, in questo tipo di illecito penale, l'elemento oggettivo sussiste anche quando il comportamento dell'agente turbi semplicemente il regolare e ordinato svolgimento del servizio pubblico (Cass. pen. Sez. 6, n. 46461 del 30/10/2013, Rv. 257452). Con riguardo all'elemento soggettivo, secondo i Giudici di legittimità, nel caso in esame, anche detto elemento è sussistente e ciò in considerazione del fatto che la ricorrente è volontariamente entrata nel plesso scolastico con la consapevolezza che detta condotta avrebbe avuto una conseguenza in punto di regolare svolgimento delle lezioni scolastiche e assumendone il rischio (Cass. pen., Sez. 6, n. 39219 del 09/04/2013, Rv. 257081). Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, appare, pertanto, legittima la condanna della ricorrente, la cui punibilità non può essere esclusa neanche invocando il carattere episodico della sua condotta dal momento che, come è emerso nel corso dei giudizio, la stessa ha più volte assunto comportamenti aggressivi nei confronti del corpo docenti e dei collaboratori scolastici. In forza di tali argomentazioni, quindi, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso dell'imputata.