Nel 1921, quando Calamandrei scrisse il pamphlet "Troppi avvocati", l'analfabetismo era una condizione che accomunava il 35,2% degli italiani. Nello stesso periodo, su una popolazione di 37.491.000 abitanti (dati ISTAT – Serie Storiche, 1921), gli avvocati ed i procuratori legali iscritti al relativo albo erano 23.925, ovvero uno ogni 1567 abitanti (dati riferiti al 1923; fonte non verificata). Nel 2010 gli avvocati iscritti ad un albo in Italia erano 207.240 (dati da fonte non verificata), mentre nel 2009 la popolazione residente era 60.045.000 abitanti (dato del 2009, fonte ISTAT), il che fa – approssimativamente, data la non omogeneità del periodo – un avvocato ogni 202 abitanti. (Giovanna Biancofiore, ITALIAOGGI)
Ecco le mie considerazioni.
I dati sopra esposti parlano da soli: una popolazione rurale, lontana giornate di cammino a piedi dai Tribunali, analfabeta, con la maggiore età a 21 anni, il servizio militare di 4 anni, le donne senza capacità giuridica, il regime fascista che cominciava la sua lunga permanenza al potere. Attività imprenditoriale ai minimi termini, soprattutto piccolo artigianale.
Come si fa a fare un paragone basato sul rapporto avvocati/ persone?
E' evidente che il rapporto deve essere calcolato su avvocato/problema da risolvere. E se vogliamo sviluppare questo argomento, pronti:
cosa c'è, adesso, che nel 1921 non c'era?
LA COSTITUZIONE, e poi:
Maggiore età a 18 anni;
accesso al credito;
tessuto imprenditoriale vastissimo;
piccola proprietà;
risparmio;
rapporti con le banche;
rca;
responsabilità professionale;
aumento della microcriminalità;
espansione della malavita organizzata;
violenza domestica che spesso sfocia nell'omicidio;
diritto carcerario;
tutela dell'handicap;
tutela del credito;
tutela del debitore non imprenditore.
Tutto questo spalmato su una impressionante regressione culturale della popolazione italiana, che ha dimenticato molte cose, dalla sezione "diritti e doveri dei cittadini" della Costituzione, all'insegnamento di Don Milani.
E così via.
E se il problema fosse dunque diverso?
Non troppi avvocati, buttata lì per dire la frase a sensazione, ma cattiva organizzazione della giustizia, scarso controllo su qualità professionali e su accaparramento clientela, avvocatura dispersa in mille rivoli e incapace di dare una immagine coesa, e infine, la giusta impostazione: non il rapporto numerico tra avvocati e popolazione, ma il rapporto numerico tra avvocati e problemi da risolvere?
E se il problema fosse, come diceva Calamandrei, che lo Stato, invece di vigilare sulla formazione degli Avvocati, si comporta in tutta altra maniera:
«[…] il vero responsabile della decadenza morale e intellettuale delle professioni è così questo Stato ciarlatano, il quale, come se il Paese avesse gran bisogni di avvocati, continua a gridare, di sulla porta del baraccone alla folla che vuol divertirsi. "Avanti, avanti, chi vuol diventar avvocato? Entrino, o signori, che la spesa è poca e il divertimento è grande!"» (P. CALAMANDREI, Troppi avvocati, Firenze 1921).
L'avvocatura italiana rinasce dal Congresso di Firenze del 1947: è dunque repubblicana, laica, antifascista.
Chi vuole trovare il bandolo della matassa, cominci da lì: gli atti dei Congressi sono a disposizione presso il CNF, a via del Governo Vecchio, Roma.
(E a tutti gli avvocati che dicono che siamo troppi, consigliamo di cominciare loro a cancellarsi dall'Albo, per dare il loro piccolo contributo al miglioramento della professione).