Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 07 Agosto 2021
Categoria: Di Libri di altro

Suor Cecilia Basarocco: “La Suora che seppe amare”

 Ci si è chiesti il senso e lo scopo di un ricordo, a trentacinque anni dalla scomparsa, di suor Cecilia Basarocco.

Suor Cecilia, la cui presenza a Niscemi si tramanda da madri, certo anche da padri, in figli, e la cui memoria è tenuta viva come la fiamma perpetua di un sacrario.

Proprio alcuni anni fa, sulla proposta del Lions Club di Niscemi e caldeggiata da Totò Ravalli, il suo Comune di origine, Racalmuto, ha deciso di intitolarle una strada con pubblica e sentita manifestazione. Mentre a Niscemi, nel 1994, le è stato intitolato, a giustissima ragione, l'ospedale che l'ha vista energica operatrice per cinquant'anni.

In più occasioni, nel passato recente, non sono mancate le manifestazioni, semplici, perché Lei della semplicità aveva fatto scelta di vita, ma ricche di contenuti, di episodi, di momenti delicatamente sensibili.

Molte le persone che l'hanno voluta ricordare, nelle diverse circostanze, con scritti e racconti. Ancora recentemente dagli operatori sanitari e dall'Amministrazione comunale.

Persone che l'hanno conosciuta direttamente, altre che si sono affidate alle poche notizie che erano trapelate negli anni.

E non c'è dubbio che l'episodio, diversamente raccontato da più fonti, di certo è quello del salvataggio dei dodici soldati tedeschi, che nell'ospedale di Niscemi avevano trovato rifugio dopo lo sbarco delle forze alleate il 10 luglio 1943. 

 E non c'è dubbio che l'episodio che riguarda suor Cecilia sia vero, come sostiene in un lucidissimo, e alquanto affettuoso, ricordo il prof. Piero Banna, ex primario di chirurgia all'Ospedale di Niscemi che ha conosciuto molto bene suor Cecilia, in un articolo apparso sul quotidiano "La Sicilia" il 20 novembre 1986: "Nessuna versione precisa è sovrapponibile dell'episodio, ma tutte concordano sul fatto che il plotone americano rimase come pietrificato, colpito certamente – non dalle parole incomprensibili e gridate in dialetto – ma dal comportamento inaspettato irruente, coraggioso e anche, a prima vista minaccioso, violento di quell'Angelo Bianco con le larghe ali tese e rivolte verso l'azzurro intenso di un caldo mese di luglio".

Quando, nel 1974, si commemorò lo sbarco in Sicilia, Suor Cecilia, nell'aula Consiliare di Gela, fu convocata e ricevette una medaglia-ricordo per il gesto compiuto in quelle tristi circostanze. A ringraziarla, c'erano due fra i tedeschi da lei salvati

Nel 1935 Suor Cecilia arriva a Niscemi, dove esisteva già una Comunità delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto. Aveva ventun anni.

Don Giuseppe Giugno così descrive il suo inserimento nella struttura ospedaliera: con un ricordo in occasione del trigesimo della morte: "Avventura Cristiana di una donna forte Suor. Cecilia Basarocco (1914 – 1986: "Quando lei arrivò a Niscemi, l'ospedale non era altro che una infermerìa male equipaggiata e tale comunque da dover far fronte ad ogni eventualità. L'acqua per il bucato si traeva a secchi da un pozzo profondo; si cucinava su due pietre all'aperto; di peso per una scala angusta si portavano gli infermi al piano superiore nelle camerate del convento adibite a corsie (nel piano inferiore aveva sede un carcere fino a non tanti anni fa). A queste fatiche, che a noi adesso appaiono quasi inverosimili, Suor Cecilia con consueta intraprendenza ed energia, aggiungeva giri, più o meno fortunati, per questuare dalle famiglie abbienti qualche po' di farina, qualche po' di lana e rari centesimi per venire incontro alle più elementari esigenze dei malati, che tutti, non a caso, erano in stato di miseria". Una miseria che attanaglia quelle famiglie di umili contadini e che Suor Cecilia conosceva bene.

 E Leonardo Sciascia affida alle "Parrocchie di Regalpetra", "suo primo libro", importante, il ritrovamento prodigioso avvenuto nell'anno 1503. Scrive Sciascia: "Lasciamo la parola all'antico cronista: Nella città di Castronovo v'era il nobile Eugenio Gioeni, corretto di pocondrìa. Gli ordinarono li medici di farsi un giro per divertirsi e superare detto filato ipocondrico. Infatti si chiamò alcuni parenti suoi di Palermo e di Castrogiovanni, si unirono con la servitù in numero di settanta, si noleggiarono un bastimento, passarono a girare l'Africa, e passarono dalla Libia, regno di Barca. Mentre riposavano in un poggetto sotto una pietra, trovarono un'immagine della Vergine SS. del Bambino nella mano sinistra di marmo bianco".

Tornando a Castronovo, il Gioeni si portava dietro la statua, adagiata su una barozza trainata dai buoi; ma quando da Regalpetra volle riprendere il cammino verso Castronovo, 'impegnati i buoi, e dando la caccia per trasportare detto simulacro, li due dinnanzi s'inginocchiarono e li quattro di dietro per parte di andare verso le Grotte, per poi portarsi a passo Fonduto, si portarono indietro, ed il carro con la suddetta immagine si sprofondò, quanto non poterono più sollevarlo con tutte le forze umane. Vedendo questo portento Eugenio disse al popolo e al conte di Regalpetra che la lasciava in detta terra>>.

Tratto da: Leonardo Sciascia, "Le parrocchie di Regalpetra", pagg. 81/82 Opere, vol. I° 1956 - 1971, Classici Bompiani, 2000. Regalpetra è l'antica Racalmuto, la città di suor Cecilia.

Racalmuto e Niscemi, i due Paesi, che hanno rappresentato il mondo terreno di questa nobilissima e possente figura della carità umana, della cultura del servizio e della condivisione delle afflizioni e dei dolori dei fratelli sofferenti.

Il "Sacro Velo" della nostra Madonna del Bosco, che sostiene con il braccio destro il Bambino Gesù si interfaccia con la scultura della Vergine santissima con il bambino nella mano sinistra. Ritrovamenti avvenuti nei mesi di maggio a distanza di quattro anni. Il ruolo dei buoi, che si inginocchiano e sono compartecipi e non figuranti, dei due miracoli, quello di Niscemi e quello di Racalmuto. Immagini che hanno caratterizzato la spiritualità di Suor Cecilia che del donare ha fatto e caratterizzato la sua intesa esistenza.

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