Di Francesco Margani su Domenica, 06 Settembre 2020
Categoria: Cartoline - Itinerari tra poesia e letteratura

Gela - Viaggio d’estate

La superstrada taglia la piana a metà come un melone giallo maturo. L'aria è già calda nel mattino. Evaporano le sagome delle auto e delle moto che ronzano, calabroni metallici cromati che lasciano scie di fumo e schegge e scintille nei fulminei sorpassi.

Prima di arrivare in città è ben visibile il Monte Castelluccio, un piccolo promontorio su cui si erge il castello federiciano restaurato. Da secoli testimone solitario che vigila su tutta la campagna circostante.

Entriamo in città attraverso strade con continue interruzioni per i lavori stradali che stanno eseguendo. Le strade sono malmesse e piene di buche. Se alziamo lo sguardo possiamo vedere in lontananza le ciminiere di quello che fu il polo industriale. Tristi e lesti ci appaiono gli operai all'uscita. Sono rimasti in pochi a vigilare la raffineria. Ultimi testimoni di un tempo glorioso quando confluivano da ogni parte dell'Isola le maestranze, e dal Nord arrivavano i quadri e i dirigenti.

Costeggiamo il fiume che dà nome alla città. Alla foce numerosi pescatori lanciano le lenze. Il mare brilla ed è piatto una tavola. S'ode un leggero fruscio di acque che lente si cullano sulla battigia. Rimaniamo estasiati nel vedere sino all'orizzonte luccicare il mare. I raggi come saette brillano e si riflettono sull'azzurro.

Una breve sosta sul lungomare che è uno spettacolo da vedere.Saliamo verso l'Acropoli. Gela è una città greca. Fu fondata da coloni rodio-cretesi nel 689 a. C. e dopo 45 anni la fondazione di Siracusa. Gli scavi archeologici ben visibili e ben curati sono a testimonianza del glorioso antico passato.

Accanto all'Acropoli sorge il Museo. Costruito possiamo dire di recente a metà degli anni cinquanta. All'ingresso fa bella mostra la statua di uno dei cittadini più illustri dell'antica Gela: Eschilo. La statua del tragediografo ci accoglie e ci saluta con l'ampio gesto della mano, come se volesse invitare i frettolosi passanti ad entrare in questo luogo favoloso che raccoglie reperti ceramici, bronzei e numismatici che narrano la storia della potentissima Gela. "Faccio voto che in questa città// non mai ruggisca la discordia civile// che di crimini non è mai sazia. //. Parole profetiche che possiamo leggere nella targa posta ai piedi. A nulla è valso l'ammonimento del grandissimo eleusino, le cui opere tutt'ora vengono riproposte nei vari teatri greci che popolano questa terra amata. Addolorati nel vederla martoriata, umiliata, sfregiata. Una tappa obbligata se vogliamo conoscere il nostro presente. Per poter comprendere e ammirare la millenaria bellezza lì conservata e custodita con cura. Tra gli anni ottanta e novanta fu teatro di una inaudita mattanza. Tantissimo sangue fu versato in ogni angolo della città. E i versi di ammonimento risuonano nella testa e chiedi il perché non possa ritornare agli antichi fasti, allo splendore.

Ridiscendiamo dopo essere stati illuminati da tanta meraviglia verso il lungomare. Entriamo nella luce che riflette sulla sabbia. Quasimodo scrisse dei versi memorabili: Su la sabbia color della paglia//mi stendevo fanciullo in riva al mare//antico di Grecia con molti sogni nei pugni//stretti e nel petto. //Là Eschilo esule//misurò versi e passi sconsolati, //in quel golfo arso l'aquila lo vide, // e fu l'ultimo giorno.//. 

Noi umili pellegrini e bagnanti occasionali in questa terra luminosa vogliamo credere di essere nei luoghi dove Eschilo nel mattino nuotava o seduto a riva a comporre i suoi tragici versi immortali.

Davanti ai nostri occhi appare Il Lido La Conchiglia. Costruito sull'acqua poco distante dalla battigia come una moderna palafitta in cemento. Fu un locale rinomato, frequentato negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Numerosi furono gli eventi mondani organizzati. La spiaggia era frequentata da numerosi bagnanti, intere famiglie si accampavano fin dalle prime luci. La struttura appariva grandiosa, aveva una dolce e armoniosa linea architettonica. Poi l'inquinamento del greggio fece sì che i bagnanti si spostassero presso altri lidi. La struttura è ridotta a un rudere, collassata dentro i flutti del mare. Il tetto a forma di conchiglia in parte è crollato, ciò che resta è coperto da una patina di muffa nera.

Ci auguriamo che possa risorgere come la fenice e possa ritornare a splendere come una perla bianca.

Proseguiamo attraverso il Lungomare mentre i raggi si inabissano all'orizzonte. Un cielo color rosso fuoco si staglia di fronte. Arriva la brezza carica di salsedine che ci riempie i polmoni e ci ossigena.

Le mura Timoleontee di Capo Soprano, perfettamente ben conservate dalle sabbie per millenni. Adesso le possiamo ammirare nel suo unico imponente splendore. Ben quattrocento metri di enormi blocchi in pietra arenaria furono posti a difesa della città. Esempio riuscito di architettura militare greca. La potenza militare era ben nota nell'antichità.

Nello stendere questa brevissima nota di viaggio che non è un minuzioso rendiconto, e nemmeno ambisce ad esserlo. E' la trascrizione di un pomeriggio trascorso in compagnia di amici per le vie di Gela. Un senso di commozione mi circola dentro. Qui da fanciullo accompagnavo mio padre per gli acquisti. D'estate venivamo per una settimana a fare i bagni. Eravamo ospiti di una famiglia di agricoltori che ci cedevano due stanze. Sono ritornato a cercare la casa in cui alloggiavamo. Ho trovato dei ruderi con le porte e le finestre murate da blocchi di tufo. Dal tetto svettano le fronde rigogliose dei fichi. Lì mi perdo nel ricordo. Le ombre tremolanti si muovono sui muri che vedo sbirciando attraverso una fessura della finestra. Girano come in una giostra. Oramai il tempo si è fermato tra le pietre della casa ricolma di carte e legna. 

La piazza Umberto I è il salotto di una intera comunità che lì si ritrova a tutte le ore. Lì ci si incontra per la stipula di ogni negozio commerciale e umano. Al centro della piazza la statua bronzea della " fimmina nuda" rappresenta Cerere, ma le controversie su tale denominazione sono state lunghissime. Gridarono allo scandalo, negli anni cinquanta, i parroci per aver posto davanti alla Chiesa Madre una statua che avrebbe turbato i sogni degli adolescenti. Cerere era una divinità materna per i Romani, Demetra per i greci. Dea della madre terra e della fertilità, nume tutelare dei raccolti e dei frutti. Attraversano la piazza sorridenti amazzoni, ragazzi schiamazzano e si rincorrono. Guardiamo l'orizzonte mentre il sole tramonta e le prime luci si accendono. Passeggiamo lungo il Corso strapieno di persone, ci fermiamo davanti alle linde vetrine per poi acquistare dei piccoli regali. Ripartiamo come di solito si riparte, con la solenne promessa di ritornare. La luna è alta alle nostre spalle e le luci coprono per intero l'intera città.  

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