I Supremi Giudici di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 8310/19, hanno statuito che nel caso di indebita percezione dei permessi previsti dalla Legge n.104 del 1992, è del tutto legittima l'applicazione della sanzione del licenziamento venendo di fatto meno quel vincolo fiduciario che deve necessariamente sussistere alla base di ogni rapporto sinallagmatico.
I detti permessi, previsti per i lavoratori che debbono assistere una persona che presenta un grave handicap, non possono essere fruiti per altri fini, così come, invece, è accaduto nel caso "de quo" dove addirittura il dipendente affermava di usufruire delle dette ore per assistere il padre che invece era regolarmente a lavoro ( ad inchiodare il dipendente anche il fatto che il padre lavorava presso la stessa "municipalizzata" ove prestava servizio il dipendente in questione).
I Supremi Giudici in linea con quanto già statuito nei due precedenti gradi di giudizio, respingono ancora una volta il ricorso proposto dal lavoratore essendo inequivocabile l'abuso di diritto dallo stesso (tra l'altro già più volte) perpetrato.
I Supremi Giudici ritenendo, infatti, tale condotta, oltre che disdicevole, del tutto illecita, rendono definitivo il detto licenziamento, non avendo prestato il lavoratore alcuna assistenza al padre, né, compiuto attività nell'interesse del familiare assistito.
Già i Supremi Giudici in precedenti pronunce hanno precisato come il permesso di cui all'art. 33, L. n. 104 del 1992 sia riconosciuto al lavoratore in ragione dell'assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, senza che il dato testuale e la "ratio" della norma ne consentano l'utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza.
Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l'abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell'Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari; difatti, in base alla "ratio" dell'art. 33, comma 3, L. n. 104 del 1992, è necessario che l'assenza dal lavoro si ponga in relazione diretta con l'esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l'assistenza al disabile, seppure questa può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell'interesse del familiare assistito.
Di conseguenza detta grave e disdicevole condotta secondo i Giudici di Piazza Cavour viola l'affidamento riposto dal datore di lavoro nel dipendente e ne legittima il licenziamento
Si allega Ordinanza.