Di Paola Mastrantonio su Lunedì, 29 Aprile 2024
Categoria: Politica Forense

Equo indennizzo escluso per le iniziative giudiziarie contrarie alla giurisprudenza consolidata.

Decisa presa di posizione della Suprema Corte riguardo alle richieste di equo indennizzo da parte di chi abbia intrapreso un processo sulla base di orientamenti giurisprudenziali contrari a quelli dominanti.

Con un'ordinanza pubblicata il 23 aprile scorso (ordinanza n. 10909/2024), il Supremo Consesso ha, infatti, esteso il concetto di mala fede, che fa perdere al ricorrente il diritto al giusto ristoro, sino a ricomprendere quelle iniziative giudiziarie contrarie alla giurisprudenza consolidata. 

  Nel dettaglio, l'ordinanza, dopo aver ricordato che la legge esclude l'indennizzo in favore di chi abbia agito o resistito in giudizio consapevole dell'infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande e difese, afferma che il patema d'animo derivante dalla situazione di incertezza per l'esito della causa è da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell'instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell'infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole.

Dunque, perché la parte possa dirsi consapevole della infondatezza delle proprie domande o difese (agli effetti del comma 2-quinquies, lettera a), dell'art. 2, legge n. 89/2001), conclude il provvedimento, non è necessario l'accertamento della mala fede, essendo sufficiente verificare la carenza di quella pur minima diligenza che le avrebbe consentito di rendersi conto immediatamente di tale assoluta infondatezza, e che, ad esempio, può desumersi dalla contrarietà dell'iniziativa giudiziaria alla giurisprudenza consolidata.  

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