Di Giovanni Di Martino su Lunedì, 29 Ottobre 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto e procedura penale

Reato vendere il pane non confezionato per strada

 I Giudici della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4527 del 9 ottobre 2018, hanno ribadito che la vendita del pane non confezionato esposto agli agenti atmosferici, costituisce reato ai sensi dell'art. 5 lett.b) e 6 della legge n. 283 del 1962. In questa ipotesi non sono state osservate le prescrizioni igienico sanitarie volte a garantire la buona conservazione del prodotto. 

I Fatti

Un ambulante dedito alla vendita per strada di diversi chilogrammi di pane, veniva individuato e tratto in giudizio per il reato p. e p. dall'art. 5 lett.b) e 6 della legge n. 283 del 1962 per non essere state osservate le prescrizioni igienico sanitarie in tema di conservazione di prodotti alimentari. L'imputato al termine del giudizio veniva ritenuto colpevole e condannato alla pena pecuniaria d i 206 euro di ammenda.

Avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli proponeva ricorso per cassazione l'imputato chiedendone,mezzo del difensore, l'annullamento e deducendo, con un unico motivo, la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all'erronea applicazione della legge penale e il correlato vizio di motivazione. 

 Secondo la difesa del ricorrente il Tribunale avrebbe errato nel ritenere responsabile l'imputato per il reato contestato in quanto la condotta di questi integrerebbe una condotta di cattive modalità di conservazione e non di cattivo stato di conservazione come prescrive la legge.

La difesa del ricorrente sosteneva che la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il cattivo stato di conservazione riguarderebbe un momento antecedente la messa in vendita e farebbe riferimento alla qualità intrinseca del prodotto, mentre la cattiva modalità di conservazione farebbe riferimento alle qualità estrinseche e in questa ultima ipotesi non configurerebbe il reato.

Motivazione

I giudici del Supremo Collegio hanno ritenuto il ricorso manifestamente infondato.

I giudici della Terza Sezione infatti hanno richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, " ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista dall'art. 5, lett. b, della legge 30 aprile 1962 n. 283, che vieta l'impiego nella produzione di alimenti, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario che quest'ultimo si riferisca alle caratteristiche intrinseche di dette sostanze, ma è sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza (Sez. U, n. 443 del 19/12/2001, Butti, Rv. 220716; Sez. 3, n. 44927 del 14/06/2016, Ballico, Rv. 268715; Sez. 3, n. 15094 del 11/03/2010, Greco, Rv. 246970)."

 In applicazione di questo principio si avrà pertanto cattiva conservazione in tutte quelle ipotesi in cui le sostanze alimentari, pur potendo essere ancora genuine e sane, si presentano mal conservate, e cioè preparate, confezionate o messe in vendita senza l'osservanza delle prescrizioni dirette a prevenire il pericolo di una loro precoce degradazione, contaminazione o comunque alterazione del prodotto (Sez. 3, n. 33313 del 28/11/2012, Maretto, Rv. 257130; Sez. 3, n. 35234 del 28/06/2007, Lepori, Rv. 237519).

Nel caso di specie , i giudici della Terza Sezione hanno affermato che Il Tribunale ha fatto buon governo dei principi sopra citati con una motivazione assolutamente logica e coerente pertanto hanno dichiarato il ricorso inammissibile stante la manifesta infondatezza del motivo e hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si allega sentenza.

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