Di Anna Sblendorio su Mercoledì, 01 Giugno 2022
Categoria: Il caso del giorno 2019 fino a 8/2019 - diritto e procedura amministrativa

È legittimo il diniego di cittadinanza a causa dei reati di grave entità commessi dai familiari?

Con sentenza n.7108/2022 del 31/05/2022 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio è stato chiamato a valutare la legittimità del provvedimento di diniego della cittadinanza a causa dalle vicende penali emerse a carico dei familiari conviventi con la richiedente, il cui disvalore sociale costituisce indice di una scarsa adesione ai valori del nostro ordinamento giuridico(fonte https://www.giustizia-amministrativa.it/).

Analizziamo la vicenda sottoposta all'attenzione del Tar.

I fatti di causa

La ricorrente ha presentato istanza di concessione della cittadinanza ai sensi dell'art.9 comma 1, lett. f) della L. n.91/1992, istanza che è stata respinta dalla P.A. per mancanza di coincidenza tra l'interesse pubblico e quello della richiedente alla concessione della cittadinanza, essendo emersi a carico del coniuge e dei figli conviventi con la richiedente reati di grave entità.

Conseguentemente la ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego eccependone l'illegittimità. A sostegno delle proprie ragioni la ricorrente ha dedotto in particolare l'omessa ed errata valutazione dei presupposti per la concessione della cittadinanza italiana e il travisamento dei fatti e omessa ponderazione comparativa egli interessi.

Costituendosi in giudizio la P.A. ha dedotto l'infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

La decisione del Tar

I giudici amministrativi hanno rilevato che i presupposti di ammissibilità prescritti dall'art.9, L. n.91/1992, che consentono all'interessato di presentare l'istanza di naturalizzazione, non sono elementi di per sé sufficienti per conseguire il beneficio, né costituiscono una presunzione di idoneità al conseguimento dell'invocato status civitatis. Ciò in quanto la P.A. gode di un'ampia discrezionalità nell'emanazione del provvedimento di concessione della cittadinanza, che mira a valutare l'opportunità di inserire stabilmente lo straniero nella comunità nazionale e rappresenta un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, sez. III n. 4122/2021; n.8133/2020; n.7036/2020; n.1390/2019; n.6374/2018).

 La valutazione discrezionale della P.A. viene effettuata "sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta", effettuando un giudizio prognostico che escluda la possibilità che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti o, addirittura, commettere fatti di rilievo penale (cfr., ex multis, TAR Lazio, sez. V bis, nn. 2943 e 3471 del 2022 e Cons. Stato, sez. III, n.5262/2018; cfr., Cons. Stato, sez. II, n.4151/2021; TAR Lazio, sez. I ter n.1719/2021).

Pertanto la concessione della cittadinanza richiede la valutazione della sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersi anche tutti i doveri ed oneri nonché gli obblighi si solidarietà economica e sociale nei confronti della collettività di nuova appartenenza, primo fra tutti quello di non pregiudicare la sicurezza degli altri membri (cfr. TAR Lazio, sez. I ter, 3 giugno 2021, n. 6541).

Questa valutazione, che viene effettuata nell'esercizio del potere discrezionale da parte della P.A., non può essere oggetto di sindacato se non di natura estrinseca e formale, al fine di verificare la ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole.

Nel caso di specie, il Collegio ha rilevato che la P.A. ha valutato negativamente l'integrazione della ricorrente nella comunità nazionale a causa dei gravi pregiudizi di carattere penale emersi a carico del coniuge e dei figli della richiedente, quali: inosservanza al divieto di reingresso a seguito di espulsione amministrativa, reato di porto d'armi o oggetti atti ad offendere, reato di lesioni personali, morte o lesione come conseguenza di altro delitto e rissa, rifiuto di fornire indicazioni circa l'identità personale, resistenza a pubblico ufficiale, guida in stato di ebbrezza, reato di rapina aggravata, produzione e traffico di sostanze stupefacenti, ricettazione.  

Dal punto di vista formale, il Collegio ha evidenziato che la P.A. ha comunicato alla richiedente i motivi di rigetto della richiesta di cittadinanza ai sensi dell'art.10 bis L. n.241/90, invitandola a produrre le proprie osservazioni e che le osservazioni presentate non sono state accolte, "in considerazione della gravità e pericolosità, nonché del disvalore sociale dei fatti contestati ai figli ed al coniuge conviventi della stessa, indice di una scarsa adesione ai valori del nostro ordinamento giuridico." A questo proposito il Tar ha precisato che "il comportamento penalmente rilevante di familiari di primo grado (…) può essere preso in considerazione al fine di motivare il diniego della cittadinanza italiana (…) in quanto esso è un indice della integrazione del nucleo familiare nel quale l'istante vive" (Tar Lazio, Roma – sez. II Quater n. 1840/2015).

Conseguentemente, a parere del Tar, legittimamente l'Amministrazione ha negato il beneficio, in quanto nella valutazione di opportunità della concessione della cittadinanza assume rilievo anche la condotta degli appartenenti al nucleo familiare, dovendosi valutare anche l'area della prevenzione dei reati e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale (cfr., di recente, Cons. St., Sez. III, 27/02/2019, n. 1390; 14/05/2019, n. 3121).

Alla luce di queste osservazioni il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), ha respinto il ricorso.

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