Riferimenti normativi: Artt.131 bis - 660 c.p.
Focus: In ambito condominiale sono sempre più frequenti violazioni e abusi degli spazi comuni da parte di alcuni condòmini a danno della compagine condominiale. Pertanto, è invalso l'uso da parte dei condòmini di documentare i fatti con fotografie per segnalarli all'amministratore e sollecitare il suo intervento. È sempre lecito scattare fotografie o potrebbe configurarsi un reato di molestia nei confronti del vicino?
Principi generali: In linea generale, fotografare il prossimo, di per sé, non costituisce reato, ma si potrebbe incorrere nel reato di molestie delle persone (art. 660 c.p.) quando si pone in essere un comportamento ripetuto e abituale di chi agisca in modo pressante, impertinente, vessatorio, e interferisca nell'altrui sfera di libertà. L'art. 131 bis c.p., però, esclude la punibilità se l'offesa è di particolare tenuità ed il comportamento risulta non abituale.
Il caso: La Corte di Cassazione con la sentenza n.18744 del 4.5.2023 si è pronunciata su un caso in cui era stata fotografata l'auto di un condòmino parcheggiata in un'area vietata alla sosta per documentarne il comportamento all'amministratore, anche se a bordo vi erano i figli minori.
Nel caso in esame, il condòmino che ha fatto la foto era stato imputato del reato di cui all'art.660 cod.pen., perché per biasimevole motivo recava molestia e disturbo ai condomini offendendoli e fotografando la loro autovettura con i due figli minori all'interno. Il Tribunale, poi, lo aveva assolto per la "particolare tenuità del fatto", ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., in quanto aveva ritenuto dimostrato l'episodio legato a precedenti questioni di carattere condominiale insorte tra l'imputato e le persone offese ed ha escluso che il comportamento dell'imputato fosse abituale. Contro questa decisione il condòmino ha proposto ricorso in Cassazione perché le sentenze di assoluzione ex articolo 131 c.p. comportano l'annotazione nel casellario giudiziale e l'idoneità a spiegare effetti nei giudizi civili e amministrativi nei quali è dedotta la risarcibilità del danno derivante dal fatto ritenuto non punibile. Il ricorrente ha eccepito l'erronea applicazione dell'art. 660 cod. pen., sostenendo che in ogni caso non poteva essere configurato, nella fattispecie, il reato contestato per la mancanza del motivo biasimevole richiesto dalla norma incriminatrice, ai fini della rilevanza penale del fatto e rispetto al quale il Tribunale non avrebbe argomentato.
La Suprema Corte, in via preliminare, ha ribadito la impugnabilità delle sentenze di assoluzione ex articolo 131-bis c.p. Poi,ha affermato che la contravvenzione di molestie o disturbo alle persone, di cui all'art. 660 cod. pen., può essere realizzata anche per mezzo di una sola azione, ma in tal caso per integrare la fattispecie criminosa la condotta "deve necessariamente essere particolarmente sintomatica dei requisiti previsti dalla norma incriminatrice". E cioè: "l'atto per essere molesto deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma dev'essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole, motivo, in alternativa, l'atto per essere molesto deve rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri". Nel caso in esame, invece, la Corte non ha ravvisato gli estremi del reato ascritto sia perché non sussisteva l'abitualità della condotta, dato che la sentenza impugnata si riferiva ad un solo episodio, sia per mancanza del biasimevole motivo nel comportamento dell'imputato che aveva scattato le foto dell'autovettura delle persone offese perché essa era ferma in area vietata e per segnalare il comportamento scorretto all'amministratore del condominio (come, peraltro, erano soliti fare diversi condòmini in ragione della problematica situazione, sussistente all'interno del condominio, relativa alle aree di sosta e all'occupazione, da parte dei veicoli, di aree in cui la sosta era invece interdetta). Pertanto, il giudice di legittimità ha accolto il ricorso del condomino annullando la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.