Il rapporto tra colleghi allorquando uno dei due funge da domiciliatario, si configura come un rapporto che prende la forma del contratto di mandato e non del contratto a favore di terzi.
Questo quanto affermato dal Consiglio nazionale forense, intervenuto con la sentenza n. 129 del 13 settembre 2022.
Nel caso in questione, l'avvocato ometteva di dare risposte alle richieste di informativa del collega domiciliatario, tenendo un comportamento puramente dilatorio ed omettendo di saldare le spettanze professionali.
Tale comportamento configura un illecito disciplinare.
Tale illecito viene sanzionato con la censura per la violazione degli artt. 19 e 43 del codice come indicato dal Consiglio di disciplina di Bologna.
Il caso riguardava la richiesta al domiciliatario di trasmettere atto di pignoramento presso terzi, titolo e precetto presso il tribunale di Pistoia. L'atto viene ritualmente notificato e fissata l'udienza per la dichiarazione di terzo.
Poiché il debitore aveva interrotto il rapporto lavorativo con il terzo pignorato, l'Avvocato ricorrente comunicava al domiciliatario di sospendere ogni attività e di non procedere alla iscrizione a ruolo della causa.
A questo punto, ritenuta ultimata la propria attività, l'avvocato inviava la propria notula chiedendo il pagamento delle proprie spettanze, ma, non riceveva alcun riscontro dal collega, come neanche alle successive richieste.
Secondo il Consiglio di disciplina, l'avvocato si era reso responsabile perché non solo non aveva provveduto a sollecitare la cliente, ma neanche provvedeva al pagamento dell'onorario.
Per la tipologia di rapporto esistente tra i professionisti, appunto di mandato, il compenso al domiciliatario deve essere versato dall'avvocato mandante e non dal cliente.
Tale orientamento è stato confermato dal Cnf, che afferma che è pacifico il principio per cui l'avvocato che sceglie o incarica altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza, ha l'obbligo di retribuirlo.
Tutto ciò è ancora più vero quando l'incarico di domiciliazione avvenga come nel caso in questione per scelta dello stesso avvocato ricorrente, unico interlocutore del domiciliatario.
Nella sentenza del Cnf ciò risulta provato anche dall'assenza di documentazione attestante contatti e rapporti diretti tra l'avv. domiciliatario e la comune cliente.
Già in precedenza ci si era occupati di casi simili.
A tal proposito si ricorda la sentenza del Consiglio nazionale forense n. 313/2016, per cui commette illecito disciplinare l'avvocato che non provveda a pagare il compenso dell'avvocato cui ha affidato funzioni di rappresentanza o assistenza giudiziale.
Lo stesso avvocato si era reso colpevole di comportamenti oggetto di diverse questioni disciplinari e fra i vari profili il Cnf ribadisce l'importanza del principio di colleganza e l'applicabilità di tale principio con riferimento al pagamento del compenso del domiciliatario.
Difatti, con sette distinti esposti il COA di Milano procedeva verso quest'ultimo, il quale non aveva pagato i compensi ai domiciliatari, aveva trattenuto somme di clienti ed altro ancora.
Tali comportamenti avevano portato alla sanzione della cancellazione dall'albo, poi a seguito di ricorso parzialmente accolto rideterminata nella sanzione della sospensione per dodici mesi.