La Corte di cassazione, con ordinanza n. 11739 del 3 maggio 2019, si è occupata di condotta mobbizzante in ambito scolastico. In punto, i Giudici di legittimità, condividendo quanto statuito dalla Corte d'Appello, hanno affermato che «pur nella ipotesi di insussistenza di un intento persecutorio — e quindi di inconfigurabilità di una condotta di mobbing — è necessario sempre accertare se alcuni dei comportamenti denunciati possano essere considerati in sé vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, produttivi di responsabilità per il danno da questi patito alla propria integrità psicofisica».
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame della Suprema Corte di cassazione.
I fatti di causa.
La Corte d'Appello ha riformato la sentenza di primo grado:
- accogliendo la domanda di risarcimento proposta da un'insegnante nei confronti dell'amministrazione scolastica, di cui la docente è dipendente;
- condannando parte convenuta al pagamento della complessiva somma di euro 27.918.
In buona sostanza è accaduto che l'insegnante è stata destinataria di ben tre provvedimenti disciplinari che si sono rilevati, nel corso del giudizio di merito, ingiustificati, pretestuosi e offensivi.
Secondo la Corte territoriale, la condotta dell'amministrazione scolastica è grave e tale gravità emerge ancora con più evidenza ove si prenda in considerazione la contestazione sollevata alla docente relativamente all'uso improprio da parte di quest'ultima dei bagni degli alunni. La contestazione in questione è ingiusta in quanto l'amministrazione scolastica è sempre stata a conoscenza dei seri problemi di salute dell'insegnante e delle sue necessità impellenti. Altrettanto gravi e ingiustificabili sono apparse le continue richieste di visite fiscali per la verifica dell'assenza della docente, dovuta alla patologia tumorale di quest'ultima e alla relativa terapia post-operatoria, condizione di cui -come sopra detto- l'insegnante ha reso edotta la scuola. La denigrazione della professionalità della docente, a parere dei giudici di merito, è stata assolutamente ingiustificata e, a loro avviso, alla luce delle risultanze peritali, ha provocato danni alla dipendente.
In forza di quanto appena descritto, pertanto, con la sentenza di secondo grado è stata ritenuta fondata la domanda della docente; domanda che conseguentemente è stata accolta.
Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.
La decisione della SC.
I Giudici di legittimità condividono le considerazioni della decisione impugnata.
A loro parere, la condotta, che materialmente è stata posta in essere dalla dirigente scolastica, è mobbizzante ed evidenzia chiaramente non un contrasto momentaneo tra colleghi, ma un risentimento maturato nel tempo e reiteratamente manifestatosi.
Condotta, questa, costituita da una serie di comportamenti che:
- hanno inciso, sia complessivamente che singolarmente, sulla dignità della docente;
- hanno provocato danni alla salute di quest'ultima.
Secondo la Suprema Corte di cassazione, di tale situazione è «responsabile l'amministrazione a causa dell'omessa vigilanza sulla condotta della dirigente su indicata, materiale autrice del mobbing e dell'omesso adeguato intervento nonostante le reiterate segnalazioni pervenute dalla docente».
In punto di condotta mobbizzante, i Giudici di legittimità richiamano il recente orientamento giurisprudenziale, secondo cui si ha mobbing quando:
- viene posta in essere una condotta vessatoria;
- tale condotta è costituita da una serie di atti illegittimi;
- gli atti in questione nel loro complesso configurano comportamenti che rispondono a un intento persecutorio che li unifica (Cassazione civile sez. lav., 10/11/2017, n.26684; 27/11/2018, n.30673) .
Ciò precisato, anche se, nella fattispecie in oggetto, fosse mancato l'intento persecutorio, e quindi la condotta non fosse stata mobbizzante, comunque l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto accertare se i singoli comportamenti denunciati:
- fossero stati denigranti per la docente;
- produttivi di responsabilità per il danno da questa subito alla propria salute.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Corte di cassazione ha ritenuto infondato il ricorso dell'amministrazione scolastica e ha confermato la sentenza impugnata.