Di Paola Moscuzza su Giovedì, 20 Luglio 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Dipendente si assenta per non aver gradito il trasferimento: licenziamento legittimo

 

È eccessiva la reazione del lavoratore che si assenta da lavoro a seguito del trasferimento stabilito dalla società datrice di lavoro. Il licenziamento che ne segue è legittimo.
Così ha disposto la sezione Lavoro della Corte di Cassazione con sentenza n. 17362/17; depositata il 13 Luglio.
 
Un lavoratore presentava richiesta di trasferimento in Calabria, al fine di meglio accudire il padre malato. Per ragioni di natura tecnica, l´azienda prendeva la decisione di ritrasferirlo in Veneto, luogo di lavoro originario.
 
A nulla sono servite le rimostranze del lavoratore né in primo né in secondo grado, sedi in cui ribadiva la richiesta di trasferimento in Calabria in forza della legge 104/92, e asseriva che le sue assenze erano degne di comprensione, considerato l´abuso posto in essere alla società tramite il trasferimento in luogo che non si confaceva all´ esigenza precedentemente espressa dallo stesso alla società.
 
E dunque, neanche presso i Supremi Giudici trovava avallo il comportamento attuato dal lavoratore, né la richiesta avanzata tramite ricorso e, anzi, appariva del tutto corretta la modalità tramite cui la società aveva agito.
 
Il lavoratore ribelle infatti, come rimarcava la Corte, " operava in via continuativa in Veneto" da diversi anni ed era "impossibilitato obiettivamente ad occuparsi in via esclusiva e quotidiana del padre", accudito, peraltro, da tutti gli altri figli, che alternandosi con turni, gli assicuravano la giusta assistenza, non dipendendo quindi esclusivamente da lui la cura del genitore.
 
I trasferimenti decisi dall´azienda apparivano del tutto legittimi perché il dipendente era idoneo a svolgere funzioni di manovra, anche se limitate e sporadiche, nonché perché era stato trasferito in una sede che distava da quella precedente solo pochi chilometri. Sicchè le assenze che il lavoratore si permetteva di fare, sono state qualificate come ingiustificate e sproporzionate rispetto alla decisione della società. Comportamento che gli costava un licenziamento, valutato da tutte le autorità giudiziarie adite, lecito e ragionevole.

La Corte rigettava il ricorso e condannava parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
 
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina nell´anno 2015.
 
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