Di Piero Gurrieri su Sabato, 29 Giugno 2019
Categoria: Università

"Di concorsi truccati si muore, il mio Norman si buttò dal quinto piano". Claudio Zarcone: "Mi vergogno per voi"

Di concorsi truccati si può morire. Ne sa qualcosa la famiglia Zarcone che il prossimo 13 settembre ricorderà ancora, per il nono anno consecutivo, il proprio caro, Norman Zarcone, dottorando in Filosofia che, a causa del marcio dell'Università e di concorsi truccati, si buttò dal palazzo delle Scienze di Palermo e morì sul colpo. Sarebbe potuto essere un genio se il nostro fosse stato un sistema meritocratico, piuttosto che basato su compiacenze, favoritismi e corruzione. Ed invece la sua famiglia è costretta ogni anno a ricordare un morto. Di concorsi truccati, insomma, non solo si soffre - e speriamo si paghi - ma anche si muore, ed è grave che nessuno abbia voluto ricordare in questi giorni in cui i veli di un tempio finora blindato sembrano all'improvviso squarciarsi, Norman. Un ulteriore dolore per la famiglia. "Quel giorno - scrisse il padre, Claudio, in occasione di una recente cerimonia con cui a Palermo, nel quartiere di Brancaccio, lo stesso in cui molti anni prima ed in circostanze diverse morì un altro eroe, don Pino Puglisi, fu dedicata una strada a Norman - mio figlio decise di gridare nel modo più straziante possibile il proprio sdegno verso quell'inossidabile struttura di potere a conoscenze famigliari e di casta, che delegittima la massima agenzia formativa del sapere e della cultura". Claudio scrisse ancora: "Ho scritto agli onorevoli, agli intellettuali, ma ho assistito a vergognosi caroselli d'omertà, se non di complicità. Quante insopportabili pacche sulle spalle ho ricevuto, quanti assordanti silenzi a corredo. Solo silenzi da parte delle istituzioni e della stessa stampa: la morte non fa più notizia se non c'è dietro un fatto scabroso, contorsioni sentimentali, perversioni mentali o uno dei valori-cornice di questa società che non premia i talenti, sbeffeggia le ambizioni e insulta i sogni". Ed è proprio così, la morte non fa più notizia. Non si vendono giornali, non si fanno affari con la morte. Figuriamoci poi quella di un ragazzo normale. Figuriamoci poi quella indotta da una sistema che controlla tutto, dal sistema economico alle grandi case editrici. Fino alle Università è alle centrali di istruzione. Almeno fino a ieri.

Parole tristi, quelle di Claudio che lui, che aveva considerato la morte del figlio, ancora ventisettenne, un omicidio di Stato, torna a ribadire ancora oggi, all'indomani del terremoto giudiziario che ha investito Catania e tante altre sedi universitarie. Una nota dura, soprattutto ammantata dalla tristezza, forse anche dalla rassegnazione di fronte a quello che a lui e tanti altri appare come un formidabile, impenetrabile muro di gomma: "Ma davvero una giovane vita innocente non vale più niente? Ma davvero la memoria è diventata un esercizio sterile, privo di riferimenti ai fatti, ai gesti? Dopo quello che è successo nelle università di tutt'Italia, dopo quello che è successo in queste ore a Catania (operazione che coinvolge lo stesso Rettore), è mai possibile che nessun telegiornale, nessun articolo abbia avuto il buonsenso, il pudore, la decenza di ricordare Norman Zarcone? Un giovane brillante, con lode, che ha donato la propria vita per denunciare una vergogna molto italica che attanaglia quello che dovrebbe essere il 'Tempio del Sapere'. Ma davvero l'anomia e il disimpegno hanno preso il sopravvento nella nostra società? Mi vergogno per voi".

No, Claudio, su questo non siamo d'accordo. Nessuno di noi si vergogna al posto loro. Sono loro, questi delinquenti, corruttori, e permetteteci, sono proprio loro, grandi stronzi, che dovrebbero vergognarsi. Lasciare ogni incarico ed anche questo suolo italiano, che, se quanto addebitato loro rispondesse anche parzialmente al vero, disonorano con la loro stessa presenza. Noi non dobbiamo vergognarci per le malefatte degli altri, ciascuno risponde per sé. E noi oggi insieme alla punizione dei colpevoli, desideriamo semplicemente ricordare tuo figlio. Uno di noi.