Di Paola Mastrantonio su Martedì, 06 Giugno 2023
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Decorrenza del termine per l’impugnazione dei contratti a tempo determinato: l’orientamento più restrittivo non collide con la normativa europea.

Sulla decorrenza del termine per impugnare il contratto di lavoro in caso di successione dei contratti di lavoro a tempo determinato (anche in somministrazione), si sono formati due distinti orientamenti: il primo, più estensivo – incentrato sul c.d. metus, ossia il timore del lavoratore, tipico dei rapporti senza stabilità, di avanzare una rivendicazione nei confronti del datore di lavoro e pregiudicare così la possibilità di un rinnovo del rapporto o di una stabilizzazione dello stesso – fa decorrere il termine per impugnare dalla scadenza dell'ultimo contratto della sequenza.

Il secondo, più restrittivo, ritiene, invece, che l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo contratto a termine della serie non si estenda ai contratti precedenti e che, al contrario, a ciascuno dei contratti in questione si applichino le regole inerenti la rispettiva impugnabilità.

La giurisprudenza prevalente ha adottato l'orientamento più restrittivo, motivando tale sua decisione sulla base di due diversi ordini di considerazioni.

Il primo poggia sul rilievo che ogni singolo contratto abbia una propria individualità, cui corrisponde, dunque, uno specifico termine di decadenza per l'impugnazione.

Il secondo fa leva sul fatto che una eventuale considerazione unitaria del rapporto lavorativo, che sola giustificherebbe l'estensione del termine per impugnare dell'ultimo contratto a termine a quelli precedenti, succede e non anticipa il giudizio, dal che l'illogicità di tale estensione.

Nella sentenza n. 15226/2023, la Cassazione ha ribadito l'orientamento (più restrittivo) già espresso riguardo all'individuazione del dies a quo per l'impugnazione del termine in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato, affrontando, però, anche la questione della compatibilità del proprio orientamento con la normativa europea. 

Il principio di diritto

In tema di successione di contratti di lavoro a termine, al di fuori dei casi specifici previsti dall'art. 5 commi 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, per i quali la reiterazione del contratto a termine comporta per legge che il secondo contratto si consideri a tempo indeterminato ovvero che il rapporto sia tale sin dalla stipula del primo contratto, l'impugnazione stragiudiziale dell'ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l'altro sia decorso un termine inferiore a quello utile per l'impugnativa, poiché l'inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro - il quale potrà determinarsi solo "ex post", a seguito dell'eventuale accertamento della illegittimità del termine apposto - comporta la necessaria conseguenza che a ciascuno dei predetti contratti si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità.

Tale impostazione, poi, non si pone in contrasto con la Direttiva 2008/104/CE, quale fattore – ai sensi dell'art. 6, comma 2, della direttiva 2008/104/CE – di ostacolo o impedimento alla stipulazione di un contratto di lavoro o l'avvio di un rapporto di lavoro tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione, poiché la direttiva in questione, che non è auto applicativa, si rivolge unicamente agli Stati membri, senza imporre alle autorità giudiziarie nazionali un obbligo di disapplicazione di qualsiasi disposizione di diritto nazionale che preveda, al riguardo, divieti o restrizioni che non siano giustificati da ragioni di interesse generale.

Cassazione, sez. lavoro, sentenza del 30 maggio 2023, n. 15226. 

Il fatto

Il dipendente di una società di servizi proponeva domanda diretta all'accertamento dell'invalidità di plurimi contratti a tempo determinato, nonché alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della società utilizzatrice, nonché il proprio correlato diritto alla riammissione in servizio e al risarcimento del danno.

I giudici di entrambi i gradi accoglievano l'eccezione di decadenza sollevata dalla società datrice, ritenendo che,nel caso di plurimi contratti a tempo determinato, anche succedutisi nel tempo in sostanziale continuità, l'obbligo di impugnazione in sede stragiudiziale nel termine di sessanta giorni decorresse dalla scadenza dei singoli contratti e non, come ritenuto dal ricorrente, dalla scadenza dell'ultimo della sequenza. 

Il lavoratore decideva, pertanto, di rivolgersi alla Cassazione denunciando, tra l'altro, la falsa applicazione dell'art. 6 legge 604 del 1966 come modificato dall' art. 32 comma 1 della legge n. 183 del 2010, in relazione all'art. 2966 c.c. e 24 Cost.

Secondo quanto affermato dal lavoratore nel ricorso introduttivo, il termine di decadenza non poteva ritenersi spirato, dal momento che, nel caso di rapporti plurimi succedutisi con sostanziale continuità e comunque con intervalli inferiori al termine di impugnativa stragiudiziale, l'impugnazione dell'ultimo contratto si comunica anche ai precedenti.

La decisione della Cassazione

Il Supremo Collegio, ritenendo applicabili per i contratti a termine gli stessi principi già affermati in numerose sentenze rese nell'ambito dei contratti di somministrazione a tempo determinato, ed in continuità con gli stessi, ha ribadito che, al di fuori dei casi specifici previsti dall'art. 5 commi 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, per i quali la reiterazione del contratto a termine comporta per legge che il secondo contratto si consideri a tempo indeterminato ovvero che il rapporto sia tale sin dalla stipula del primo contratto ( è questo il caso della successione di assunzioni a termine senza soluzione di continuità), la mera reiterazione dei contratti a termine non può ingenerare alcun affidamento del lavoratore.

Infatti, si legge nell'ordinanza, al di fuori dei casi su richiamati, la singolarità dei contratti e l'inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro evidenzia la necessità che a ciascuno di essi si applichino le regole inerenti alla loro impugnabilità, venendo altrimenti anticipata in modo non giustificato una eventuale considerazione unitaria del rapporto lavorativo, estranea al fatto storico allegato, il cui rilievo giuridico è oggetto della domanda avanzata.

Tale impostazione, ha poi proseguito la Cassazione, non si pone in contrasto con la Direttiva 2008/104/CE, quale fattore – ai sensi dell'art. 6, comma 2, della direttiva 2008/104/CE – di ostacolo o impedimento alla stipulazione di un contratto di lavoro o l'avvio di un rapporto di lavoro tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione, poiché la direttiva in questione, che non è auto applicativa, si rivolge unicamente agli Stati membri, senza imporre alle autorità giudiziarie nazionali un obbligo di disapplicazione di qualsiasi disposizione di diritto nazionale che preveda, al riguardo, divieti o restrizioni che non siano giustificati da ragioni di interesse generale.

L'interpretazione più restrittiva seguita dalla Corte di Cassazione nella sentenza in esame ed in quelle precedenti, risulta sicuramente più aderente al dato letterale dell'art. 28 co. 1 del d.lgs. 81/2015, così come modificato da d.l. 87/2018, il quale, infatti, dispone espressamente che la decadenza per l'impugnativa decorra "dalla cessazione del singolo contratto". 

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