Costituisce esercizio abusivo della professione legale lo svolgimento dell'attività riservata al professionista iscritto nell'albo degli avvocati, anche nel caso in cui l'agente (non abilitato, in quanto sospeso da detto esercizio, n.d.r.), abbia fatto firmare l'atto tipico, da lui predisposto (o corretto, n.d.r), da un legale abilitato: diversamente opinando, risulterebbe vanificato il principio della generale riserva riferita alla professione in quanto tale, con correlativo tradimento dell'affidamento dei terzi, laddove fosse ritenuto sufficiente un siffatto banale escamotage per consentire ad un soggetto non abilitato di operare in un settore attribuito in via esclusiva a una determinata professione (Cass nn. 52888/2016, 29492/2020).
Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, Sezione penale, con sentenza n. 1931 del 18 gennaio 2021
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità
I fatti di causa
Il ricorrente ha impugnato la sentenza con cui è stato condannato, tra l'altro, per l'esercizio abusivo della professione di avvocato (in relazione ad una unica condotta inerente al recupero di un credito). In buona sostanza il ricorrente è stato accusato di aver aiutato il praticante a predisporre il ricorso per decreto ingiuntivo, nonché di aver corretto tale atto, durante il periodo in cui il medesimo ricorrente è stato sospeso dall'esercizio della professione forense.
Tale ricorso, successivamente, sarebbe stato sottoscritto da altro avvocato che avrebbe curato tutta la fase processuale. Il ricorrente contesta la erronea applicazione della legge penale (art. 348 c.p. e la L. n. 247 del 2012, art. 2, commi 5 e 6), in quanto – a suo dire - egli non ha posto in essere alcun atto tipico della professione forense e, durante il periodo di sospensione, ritiene di non aver esercitato attività professionale tipica in un contesto di continuità, sistematicità e organizzazione.
Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione
Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito a quest'ultima autorità giudiziaria.
La decisione della SC
Innanzitutto, i Giudici di legittimità fanno rilevare che dalle risultanze probatorie è emerso che:
- il ricorrente ha avuto contatti in via esclusiva con i clienti;
- gli assistiti erano ignari della sospensione del ricorrente dall'esercizio della professione forense e del fatto che nella vicenda ci sarebbe stato il coinvolgimento di un altro avvocato;
- la bozza del ricorso per decreto ingiuntivo è stato predisposto dal praticante del ricorrente;
- il ricorrente ha corretto tale bozza, poi, sottoponendola all'approvazione dell'avvocato che avrebbe sottoscritto gli atti; legale, questi, ignaro della sospensione su citata.
Da queste circostanze, secondo la Suprema Corte, appare evidente la rilevanza penale della condotta del ricorrente che con la redazione del ricorso per decreto ingiuntivo, quest'ultimo ha compiuto un atto tipico ed esclusivo riservato alla professione forense, per nulla riconducibile ad un'attività di consulenza legale, che - in base anche alle disposizioni della L. n. 247 del 2012 - esula dagli atti tipici della professione se non svolta in modo continuativo.
In punto, infatti, è pacifico l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'esercizio abusivo della professione si verifica ogniqualvolta che l'agente svolga un attività riservata solo a un avvocato iscritto all'albo. Con l'ovvia conseguenza che costituisce illecito penale il comportamento di colui che, non potendo svolgere l'attività forense, anche per una sospensione temporanea dell'abilitazione, predisponga un atto e lo faccia sottoscrivere da un avvocato abilitato. Ove se si ammettesse come legittimo tale modus operandi, si finirebbe per vanificare:
- il principio della riserva della professione solo agli avvocati iscritti all'albo;
- il principio dell'affidamento dei terzi (Cass., nn. 52888/2016, 29492/2020).
Ad avviso della Corte di Cassazione, inoltre, vista la rilevanza penale dell'atto compiuto dal ricorrente e avendo il delitto previsto dall'art. 348 c.p., natura istantanea, nel caso di specie non sarebbe stata necessaria la perpetrazione della condotta dell'agente in un'attività continuativa od organizzata, essendo stato sufficiente, ai fini del perfezionamento del reato in questione, il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata (Cas., nn. 26113/2019, 24283/2015, 11493/2013, 30068/2012, 43328/2011), qual è la correzione e la predisposizione della bozza del ricorso.
Alla luce delle considerazioni, sin qui svolte, pertanto, i Giudici di legittimità hanno respinto il ricorso, confermando la sentenza di merito.