Di Daniela Bianco su Martedì, 25 Settembre 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto di famiglia e minorile

Contrasto tra genitori in merito alla scelte religiose del figlio minore: quale la rilevanza della volontà espressa dal minore infradodicenne?

Quanto è importante la volontà espressa dal minore nelle procedure di crisi del rapporto tra genitori, siano essi legati da vincolo matrimoniale o relazione more uxorio?

Si tratta di un argomento piuttosto attuale, la cui rilevanza è dimostrata anche dallapronuncia giurisprudenziale di legittimità sul punto che sarà oggetto di trattazione.

Le recenti riforme in materia di filiazione (legge 10 dicembre 2012, n. 219 e con il D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) hanno espressamente previsto l'ascolto del minore in particolare nelle procedure contenziose di separazione e divorzio, nonchè in quelle relative all'affidamento di figli nati fuori del matrimonio.

Valutare la reale volontà del minore costituisce un obbligo per il Giudice. Oggi il quadro normativo risulta ben delineato.

L'art. 337 octiec c.c. prevede infatti che " prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'art. 337-ter –che disciplina i provvedimenti riguardo ai figli nel procedimento di separazione, divorzio o affidamento- il giudice dispone l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento".

Nel caso in cui non si tratti di una procedura contenziosa, il suddetto articolo prevede che "nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo".

Anche in sede di divorzio, l'art. 4 della legge sul divorzio stabilisce che "all'udienza di comparizione iniziale il giudice emette gli eventuali provvedimenti temporanei e urgenti "…disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento".

Ancora, il nuovo articolo 315-bis del codice civile, il quale è intitolato "Diritti e doveri del figlio" stabilisce in maniera esplicita al secondo comma che "il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano".

Sempre la medesima riforma ha chiarito anche quali devono essere le modalità dell'ascolto del minore prescrivendo in proposito nell'articolo 336-bis del codice civile che "Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato. L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento. Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video".

Secondo l'articolo 38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile – introdotto dall'articolo 96 del D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 di attuazione della legge - "i difensori, il curatore speciale e il pubblico ministero non devono richiedere l'autorizzazione del giudice allorché l'ascolto avviene con mezzi tecnici quali l'uso di uno specchio unitamente ad impianto citofonico".

Quindi l'ascolto del minore è stato oggetto di una disciplina giuridica specifica nell'ambito delle procedure giudiziarie che lo riguardano, aspetti che finora erano stati disciplinati solo da alcuni protocolli esistenti nei vari Tribunali, tra cui anche il Tribunale di Reggio Calabria.

Nel presente articolo sarà oggetto di trattazione il contrasto tra genitori in materia di fede religiosa del figlio minore: si tratta di decisioni di maggiore interesse relative all' educazione dei figli di cui all'art. 337 ter, 3° comma, c.c.

Lo Stato Italiano è Stato Laico (art. 8 della Cost.) quindi indifferente rispetto alle scelte religiose dei cittadini, costituendo principio fondamentale il pluralismo in materia di religione, compreso l'agnosticismo o l'ateismo. L'educazione religiosa dei figli è pertanto demandata ai genitori.

La Suprema Corte di Cassazione recentemente, con sentenza n.12954/18,ha affrontato un tema spesso oggetto di contrasto tra gli ex coniugi ossiail cambiamento di fede di uno dei genitori (di norma il non affidatario/collocatario) che tenta, dopo la scissione del rapporto con l'altro genitore, dicoinvolgere la figlia minore di dieci anni nelle manifestazioni del suo nuovo credo- nella specie testimoni di Geova", incontrando l'opposizione dell'altro genitore.

Sentenza di particolare importanza perché stabilisce che il principio di tutela del superiore interesse dei minori è quello che orienta e condiziona ogni statuizione che li concerne.

IL CASO:

Il Tribunale era stato adito dalla madre al fine di regolamentare le condizioni di affido di una minore di anni dieci, nata da una convivenza poi cessata. All'esito del giudizio, era stato inibito al padre di condurre con se' la bambina agli incontri ed alle manifestazioni dei Testimoni di Geova, fede religiosa da lui abbracciata e praticata dopo la fine della convivenza.

Il padre impugnava la decisione proponendo reclamo alla Corte d'Appello, che, non condividendo le ragioni addotte dal ricorrente, rigettava il gravame.

In particolare la Corte del merito assumeva la propria decisione basandosi proprio sulla rilevanza dell'ascolto della minore che era stato condotto dal Giudice di prime cure e sulla base della consulenza d'ufficio espletata nel corso del giudizio.

Dall'ascolto era infatti emerso che la bambina si trovava a disagio a partecipare a tali incontri, che si svolgevano il sabato sera presso il Tempio dei Testimoni di Geova; anche l'espletata ctu psicologica aveva ritenuto che l'equilibrata crescita emotiva della bambina fosse pregiudicata dalle modalita' attraverso le quali il padre intendeva portarla a conoscenza del proprio credo e sollecitarla a seguirlo, nel contempo inibendole di partecipare alle manifestazioni della religione cattolica nella quale e' stata educata e che condivide con le sue amiche.

Il padre dunque impugnava il provvedimento emesso dalla Corte D'Appello con ricorso straordinario per Cassazionebasandosi su tre motivi:

  1. In primis il ricorrente denuncia la violazione degli articoli. 3, 19 e 30 Cost., articoli 8 e 9 CEDU, articoli 147, 315 bis, 316, 337 bis e ter c.c., :premette che la carta costituzionale delinea una societa' pluralista in tema di scelte religiose e che tra i diritti/doveri che discendono dal diritto di liberta' di religione vi e' anche quello di educare i figli nella propria fede, purche' cio' avvenga nel rispetto delle loro inclinazioni, lasciandoli liberi di scegliere se e in cosa credere. Lamenta che la Corte territoriale abbia limitato il suo diritto a far conoscere ed apprezzare alla figlia minore la sua nuova religione, nonostante la mancanza di prove convincenti che la bambina potesse rimanere pregiudicata dall'apprendere e dal seguire i precetti di un'altra dottrina, oltre a quella cattolica (di cui la madre peraltro non era praticante).Il ricorrente nello specifico non condivide le conclusioni cui era pervenuto il consulente d'ufficio sull'asserito disagio della bambina a partecipare agli incontri del culto prescelto dal padre; inoltre a suo dire il consulente avrebbe erroneamente limitato l'indagine alla sola religione paterna, esprimendo poi giudizi generalizzati e discriminatori contro la stessa ed a favore del credo cattolico; non condivideva assolutamente le conclusioni del consulente, secondo cui la bambina non avrebbe potuto frequentare l'ambiente religioso del padre senza l'accordo della madre e non dovrebbe subire divieti o restrizioni a partecipare a feste e cerimonie cattoliche, per non sentirsi diversa dalle proprie coetanee. La decisione assunta dalla Corte dunque che lo avrebbe privato del diritto di coinvolgere la minore nella sua pratica religiosa senza una giustificazione oggettiva e ragionevole;
  2. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, deduce che la statuizione della corte del merito e' vaga, inattuabile ed incoercibile - atteso che non si comprende come egli possa far conoscere le sue credenze alla figlia senza farla partecipare attivamente alle manifestazioni della sua fede e quindi contrario all'interesse della minore.
  3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, sotto i profili di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 la "violazione del principio di imparzialita' del consulente e mancanza della diligenza richiesta; omesso rispetto per violazione dei principi internazionali e costituzionali nelle relazioni familiari; violazione dell'articolo 111 Cost., articolo 1176 c.c., comma 2 anche in relazione al codice di deontologia professionale degli psicologi; violazione degli articoli 61, 62, 64, 115, 116 e 193 c.p.c., articolo 195 c.p.c., comma 3 in comb. disp. con gli articoli 8, 9, 14 CEDU, 2 del Prot. n. 1, 5 del Prot. 7, 1 del Prot. 12": il ricorrente assume che il provvedimento impugnato si è basato esclusivamente sulle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, che non ha tenuto conto delle critiche da lui volte contro la stessa.

La madre, resisteva con controricorso adducendo in via preliminare l'inammissibilita' del ricorso, in quanto proposto contro un provvedimento (quello emesso a seguito del reclamo) privo dei caratteri della decisorieta' e della definitivita'.

Ragioni della DECISIONE

In via preliminare la Corte di Cassazione respinge, perchéinfondata, l'eccezione di inammissibilita' del ricorso svolta madre,controricorrente: il decreto, che ha risolto contrapposte pretese di diritto soggettivo inerenti l'affidamento della figlia minore delle parti, e che ha efficacia assimilabile, rebus sic stantibus, a quella del giudicato, presenta i requisiti della decisorieta' e della definitivita' ed e' pertanto impugnabile per cassazione (Cass. nn. 18194/015, 6132/015, 7041/013, 15341/012).

La Corte infine respinge anche il ricorso del padre, dichiarandolo inammissibile, sottolineando che il ricorrente si e' limitato a censure di carattere assertivo omettendo di indicare, secondo quanto richiesto dall'attuale testo dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale sia, e quando sia stato da lui dedotto e dimostrato, il fatto decisivo, non esaminato dal giudice, che, ove considerato, sarebbe valso a smentire le risultanze dell'indagine ed a determinare un diverso esito della controversia.

MASSIMA:
La Suprema Corte di Cassazione con superiore sentenza del 24-05-2018, n. 12954, osserva che in tema di affidamento dei figli minori, il criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto genitoriale, è quello del superiore interesse della prole, stante il preminente diritto del minore ad una crescita sana ed equilibrata, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti – quali, nella specie, il divieto di condurre il minore agli incontri della confessione religiosa abbracciata dal genitore dopo la fine della convivenza – contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo".

Per completezza espositiva si richiama in tema di ascolto del minore infradodicenne, una pronuncia di legittimità pressoché coeva a quella oggetto di commento, assunta però in un caso di separazione personale tra coniugi.

Con ordinanza del 24-05-2018, n. 12957, la Suprema Corte ha statuito che "in tema di separazione personale tra coniugi, ove si assumano provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l'audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione – tanto più necessaria quanto più l'età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l'obbligo legale dell'ascolto – non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell'ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio.

Si auspica dunque che i Tribunali tendano ad applicare in concreto le norme sull'ascolto del minore, obbligatorio per i procedimenti che lo riguardano, a tutela del superiore interesse del minore stesso.

Avv. Daniela Bianco del Foro di Reggio Calabria.

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