Di Carmela Patrizia Spadaro su Giovedì, 28 Novembre 2019
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Concorso del professionista fiscale nel reato tributario

Riferimenti normativi: Artt. 2 – 13 bis D.Lgs. n.74/2000, modificato da D.Lgs n.158/2015

Focus: Il consulente fiscale risponde di illecito tributario in concorso con il cliente se contribuisce alla commissione del reato in maniera concreta, consapevole, seriale e ripetitiva.

Principi generali: Il riferimento normativo degli illeciti a cui possono andare incontro il consulente o il cliente nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria è delineato dal D.Lgs. n. 74/2000, aggiornato con D.Lgs. 24/09/ 2015 n.158, il quale disciplina i reati tributari che scaturiscono da emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili, omesso versamento di ritenute dovute o certificate, omesso versamento di iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. In particolare, il legislatore con il D.Lgs. n.158/2015 ha introdotto, da un lato, nuove fattispecie di reato, e, dall'altro, ha modulato le previgenti sanzioni a seconda del disvalore giuridico del comportamento messo in atto da parte del reo.

Casi giurisprudenziali: In merito al concorso nella frode fiscale del cliente la Suprema Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti sulle caratteristiche e sulle modalità di realizzazione della fattispecie concorsuale in argomento. In particolare la Cassazione Penale, con sentenza n. 28158 del 27 giugno 2019, ha riconosciuto che il professionista risponde a titolo di dolo eventuale se conosce le gravi anomalie contabili del clienteLa Suprema Corte, richiamando precedenti sentenze dei giudici di legittimità, ha affermato che il contributo causale del consulente nel reato può manifestarsi in varie forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale (art.110 c.p.). Fermo restando, perciò, che il professionista deve essere consapevole di aver dato intenzionalmente un contributo causale, materiale o morale, alla realizzazione del reato del cliente (rimanendo esclusi da tale condotta gli atti di natura colposa, come gli errori materiali o concettuali dovuti a negligenza o imperizia), vige l'obbligo del giudice di valutare la prova di una reale partecipazione del professionista e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti (Cass. pen., Sez. IV, 16/11/2017, n. 1236).

Nel caso oggetto della pronuncia in commento (Cass. n. 28158/2019), la partecipazione concorsuale del consulente ai fatti di reato di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 risulta, a parere dei giudici di legittimità, da una pluralità di elementi. In particolare, il consulente curava la predisposizione dei bilanci di esercizio della società e disponeva di un accesso diretto in remoto al sistema informatico della stessa per ottenere report contabili periodici. Inoltre, quale commercialista della società, era a conoscenza di plurime anomalie, evidenziate da un controllo della Guardia di finanza, nella relativa contabilità sin dal 2005. Non vi è dubbio, quindi, sul fatto che il consulente "era da ritenersi perfettamente a conoscenza sia dell'omessa istituzione e tenuta della contabilità di magazzino, sia dell'irregolare tenuta del registro degli inventari ", tanto più che tali gravi violazioni erano periodicamente segnalate dal collegio sindacale, con il quale egli era in continuo contatto e al quale forniva documentazione per i necessari aggiustamenti contabili. Alla luce dei principi sopra esposti, la Corte di Cassazione nella sentenza in esame ha concluso rilevando che, sia sotto il profilo della condotta materiale che sotto quello della colpevolezza, i giudici d'appello avevano correttamente valorizzato i molteplici elementi a carico del consulente, riconoscendo la sua responsabilità penale per concorso nel reato di dichiarazione fraudolentaA tal proposito, è stato affermato il principio secondo cui il commercialista può concorrere nel reato di emissione di fatture false (Cass. Pen. n.28341/2001), nell'indebita compensazione (Cass. Pen. n.1999/2017; Cass. Pen. n.24166/2011), così come nel reato di dichiarazione fraudolenta ( art.2 D.Lgs. n.74/2000) mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (Cass. Pen. n. 39873/2013 e Cass. Pen. n.7384/2018), anche se della frode ha beneficiato il solo cliente. Premesso ciò, anche l'attività di mera consulenza integra un fatto di partecipazione punibile se si offre all'esecutore il mezzo, lo strumento attraverso il quale perpetrare l'illecito e non versare, dunque, l'imposta dovuta.

La Corte di Cassazione penale, con la recente sentenza n.3612 del 19 agosto 2019, ha enucleato il principio di diritto secondo cui, in tema di reati tributari, al commercialista potrà essere contestata anche la circostanza aggravante a effetto speciale, introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015 all'art. 13-bis, comma 3, D.Lgs n. 74/2000, quando l'apporto è destinato a "soggetti palesemente incapaci di elaborare una frode senza il contributo di un fiscalista esperto"(Cass.Pen. n.45249/2014).Nel caso di specie, il reo, in qualità di ragioniere commercialista e consulente fiscale, ha elaborato un modello di evasione fiscale, agendo in concorso con alcuni imprenditori e prestanomi, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero d' interessi e sanzioni amministrative relative a dette imposte, alienando simulatamente, o, comunque, trasferendo in modo fraudolento beni propri, in modo da rendere in tutto o in parte inefficaci le procedure di riscossione coattiva agendo, perciò, non solo come consulente ma direttamente interessato a evadere l'imposta.

In conclusione, nei casi in cui il consulente fiscale, oltre a rendersi promotore delle strategie volte a frodare il Fisco, sia anche coinvolto direttamente nelle strutture societarie in favore delle quali sono elaborati i modelli seriali di evasione, il dolo del soggetto attivo risulta rafforzato. In tal caso, infatti, sussiste una piena condivisione di intenti tra i concorrenti nel reato che si aggiunge al mero interesse di riscuotere un compenso professionale per l'ideazione o l'applicazione dei procedimenti elusivi sistematicamente adottati.