Di Giovanni Di Martino su Mercoledì, 20 Marzo 2019
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Commette furto il legittimo possessore delle chiavi che si introduce nell’appartamento per sottrarre delle cose di altri.

I giudici della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8540 del 27 febbraio 2019, hanno affermato il principio secondo cui la concessione in uso di un appartamento, seppure per un periodo limitato di tempo, al conduttore, non esime il locatore-proprietario, il possessore o comunque il detentore, dall'obbligo di astenersi da ogni attività di ingerenza nella sfera di godimento dell'usuario. Ciò anche nell'ipotesi in cui il concedente abbia conservato, come d'uso, una copia delle chiavi dell'immobile, posto che la possibilità materiale (di ingerenza) non equivale alla sua liceità giuridica. In applicazione di tale principio il locatore che abbia tenuto per sé un altro paio di chiavi ed entra nell'appartamento concesso in locazione per sottrarre dei beni del conduttore, commette il reato di furto

 I Fatti

La Corte d'appello di Trieste aveva confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone, che aveva condannato XXXX per furto in abitazione. L'imputato che aveva concesso in uso per tre giorni ad una signora un appartamento di cui aveva la disponibilità, si introduceva nell'immobile, di cui aveva le chiavi, per impossessarsi della valigia di proprietà della parte offesa.

Avverso la sentenza suddetta proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato per violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto è stato erroneamente applicato l'art. 624/bis c.p., dal momento che egli aveva conservato le chiavi e la detenzione dell'immobile. Pertanto, secondo la difesa la parte offesa non aveva la disponibilità in via esclusiva dell'appartamento.

Col secondo motivo la difesa sosteneva che erano state immotivatamente denegate le attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 2, e quelle generiche

 Motivazione

I giudici di legittimità hanno dichiarato manifestamente infondato il ricorso

Gli stessi hanno avuto modo di chiarire innanzitutto che per privata dimora ai fini dell'art. 624 bis c.p. si deve intendere ogni luogo in cui vengono svolti, in maniera non occasionale, atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare (Cass., SU., n. 31345 del 23-3-2017, rv 270076). Pertanto secondo i giudici della Quinta Sezione "la concessione in uso di un appartamento, anche se per un periodo limitato di tempo, non esime il proprietario, il possessore o il detentore dall'obbligo di astenersi da ogni attività che costituisca ingerenza nella sfera di godimento dell'usuario, resa esclusiva per quest'ultimo - dall'accordo intercorso. Tanto, anche laddove il concedente abbia conservato, come d'uso, una copia delle chiavi dell'immobile, posto che la possibilità materiale (di ingerenza) non equivale alla sua liceità giuridica."

Il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile perchè costituisce una riproposizione di quello proposto dinanzi al giudice d'appello e da questi disatteso con adeguata motivazione.

A seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso è stata disposta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisandosi profili di colpa nella proposizione del ricorso, al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende che, in ragione dei motivi dedotti, si stima equo determinare in Euro 3.000.

Si allega sentenza 

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