Di Anita Taglialatela su Mercoledì, 05 Settembre 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto e procedura amministrativa

Codice processo amministrativo: la Corte costituzionale salva il ricorrente dal vizio di notifica

 Tramite la sentenza n. 132/2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, comma 3, c.p.a. limitatamente alle parole "salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione", con conseguente sanabilità del vizio di notifica con efficacia ex tunc e non più solo ex nunc come la norma censurata prevedeva.

I fatti di causa: nell'ambito di un giudizio pendente presso il T.A.R. Veneto la controinteressata aveva eccepito il vizio di notifica del ricorso introduttivo alla Stazione appaltante (nel caso di specie l'ANAS), chiedendo pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, poiché quest'ultimo era stato notificato non presso la sede legale dell'Ente resistente bensì presso una sede periferica e presso l'Avvocatura di Stato pur non essendo difesa ope legis l'ANAS dall'Avvocatura statale.

Né, secondo la controinteressata, poteva attribuirsi efficacia sanante all'avvenuta costituzione dell'ANAS, poiché questa era avvenuta oltre il termine di sessanta giorni entro i quali il provvedimento amministrativo doveva essere impugnato, includendo la controinteressata tra i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione di cui alla citata disposizione ex art. 44, comma 3, c.p.a. anche il diritto a fare valere l'inoppugnabilità del provvedimento amministrativo per decorso del termine decadenziale di impugnazione.

L'adito T.A.R. aveva ritenuto sussistere i due requisiti della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione; relativamente alla prima in quanto effettivamente l'amministrazione si era costituita dopo la scadenza del termine per l'impugnazione e l'applicazione della norma censurata avrebbe dovuto comportare l'inammissibilità del ricorso, mentre in caso di sua dichiarazione di illegittimità costituzionale il Tribunale amministrativo avrebbe dovuto esaminare il ricorso nel merito.

 Relativamente alla non manifesta infondatezza, il rimettente aveva ritenuto che la norma de qua violasse in primis l'art. 76 della Costituzione per avere violato, il Legislatore delegato, le direttive e i limiti imposti dalla Legge di delega n. 69/2009 il cui art. 44, comma 1, prevede che il Governo deve adeguare le norme del processo amministrativo alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, deve altresì coordinarle con le norme del c.p.c. – espressione di principi generali – e deve infine assicurare la concentrazione delle tutele, garantendo effettività della tutela (comma 2).

A opinione del Giudice a quo, la innovativa previsione della sanatoria ex tunc (salvi i diritti acquisiti prima della comparizione), in difformità rispetto alla situazione precedente al c.p.a. e alle regole proprie del c.p.c. non potrebbe essere qualificata in alcun modo come un coerente sviluppo o un completamento delle scelte espresse dal Legislatore delegante.

Secondo il T.A.R. Veneto, inoltre, la norma censurata comporterebbe anche grave violazione degli artt. 24, 111 e 117, comma 1, (quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU) della Costituzione, poiché norme processuali che attribuiscano rilievo a meri formalismi, che limitino eccessivamente il diritto d'azione, compromettendone l'essenza, dovrebbero essere considerate contrarie a Costituzione, qualora non siano giustificate da effettive garanzie difensive o da concorrenti e prevalenti interessi di altra natura.

Né, secondo il rimettente, sarebbe condivisibile l'affermazione secondo cui con la norma censurata il Legislatore avrebbe inteso tutelare l'interesse pubblico al consolidamento degli effetti dei provvedimenti amministrativi, dato che a ciò sarebbe preordinata la diversa previsione di un termine di decadenza per l'impugnazione.

Inoltre, la tutela delle situazioni giuridiche soggettive, e in particolare dell'interesse legittimo assicurata dagli artt. 24 e 113 Cost., implicherebbe la necessità di favorire la pronuncia sul merito, che è lo scopo ultimo del processo, e di sfavorire esiti processuali diversi da una decisione piena sulla situazione giuridica controversa.

In conclusione, la sanatoria ex nunc, in un processo come quello amministrativo caratterizzato da brevi termini di decadenza, di fatto non sarebbe idonea a sanare alcunché, con grave nocumento al diritto di difesa della parte ricorrente, privata del diritto d'azione per un errore che ha un valore solo formale, una volta che la parte intimata si sia spontaneamente costituita in giudizio ovvero una volta che l'atto abbia raggiunto il suo scopo ovvero la conoscenza da parte del suo destinatario.

Ebbene, la Corte costituzionale, esaminate accuratamente le difese di tutte le parti intervenute e verificata invano l'eventuale praticabilità di valide alternative ermeneutiche che consentissero di interpretare la disposizione impugnata in modo conforme a Costituzione, è giunta a ritenere fondata la questione in riferimento al parametro di cui all'art. 76 della Costituzione, limitandosi a detto aspetto e ritenendo assorbiti gli altri profili di illegittimità formulati dal rimettente.

 La Corte aveva già chiarito in passato che l'art. 44 della Legge n. 69 del 2009 contiene una delega per il riordino normativo del processo amministrativo che, in quanto tale, concede al Legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai princìpi e ai criteri direttivi enunciati dal Legislatore delegante, principi e criteri ritenuti tuttavia disattesi nel caso di specie.

Invero la norma censurata, in primo luogo, appare in aperto contrasto con l'art. 156, comma 3, c.p.c., che prevede la sanatoria ex tunc della nullità degli atti processuali per raggiungimento dello scopo, principio, questo, indubbiamente di carattere generale; in secondo luogo, non è in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi con riferimento alla notificazione degli atti processuali civili e con la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, antecedente all'entrata in vigore del codice, relativa proprio alla nullità della notificazione del ricorso.

La Corte aggiunge, infine, che la norma non è neanche in linea con la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, tant'è che la sentenza n. 97 del 1967 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., dell'art. 11, terzo comma, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), nei limiti in cui escludeva la sanatoria, con effetti ex tunc, della nullità della notificazione degli atti introduttivi (di tutti i giudizi), nonostante la costituzione in giudizio dell'Amministrazione statale a mezzo dell'Avvocatura dello Stato. In quell'occasione si affermò, infatti, che la sanatoria per raggiungimento dello scopo e la sua applicabilità alla notificazione degli atti introduttivi sono "princìpi introdotti nel sistema degli atti processuali attraverso ampia elaborazione che ha posto in evidenza la funzione dell'atto ai fini dello svolgimento e giusta definizione del processo", e cioè sono princìpi generali immanenti alla ratio degli atti processuali.

Per questi motivi, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, comma 3, c.p.a., limitatamente alle parole "salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizion", per violazione dei princìpi e dei criteri direttivi della Legge delega che imponevano al Legislatore delegato di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, e di coordinarle con le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto espressive di princìpi generali.