Fonti: https://www.consiglionazionaleforense.it/
Con parere n.26 del 24 maggio 2024 il Consiglio nazionale forense si è espresso in merito all'applicabilità del nuovo codice degli appalti ( D. Lgs. n.36/2023) agli ordini professionali ed in particolare ai Consigli degli ordini forensi.
Il parere del Consiglio
Il Consiglio ha rammentato l'art. 2, comma 2 bis D.L. n. 101/2013 (così come novellato dall'art.12 ter D.L. n. 75/2023, convertito in L. n. 112/2023), stabilisce che «Ogni altra disposizione diretta alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non si applica agli ordini, ai collegi professionali, ai relativi organismi nazionali e agli enti aventi natura associativa che sono in equilibrio economico e finanziario, salvo che la legge non lo preveda espressamente». Ne deriva che l'art. 1, co. 2 TU sul pubblico impiego non può essere invocato per ricomprendere nella platea delle amministrazioni e degli enti destinatari di determinati obblighi anche gli ordini e i collegi professionali, a meno che questi enti non siano richiamati espressamente.
Da tale premessa il Consiglio ha dedotto che l'applicabilità del codice dei contratti pubblici agli ordini professionali non può basarsi sull'art. 1, co. 2 TU pubblico impiego, ma deve essere ricercata sulla base di diversi riferimenti di diritto positivo concretamente impiegati, oltre che sulla base dei principi generali sia di diritto interno che di diritto europeo. La normativa italiana in tema di contratti pubblici è infatti mutuata da alcune direttive europee, delle quali costituisce atto di recepimento.
L'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) ritiene che il codice degli appalti (D. Lgs. n. 50/2016) sia applicabile agli ordini professionali (delibera n. 687 approvata dal Consiglio dell'ANAC nell'Adunanza del 28 giugno 2017) per due motivi:
- perché gli ordini rientrerebbero nella nozione di enti pubblici non economici menzionata nell'art. 3 lett. a) del previgente codice degli appalti D.Lgs. n.50/2016 e
- perché gli ordini stessi sarebbero qualificabili come organismi di diritto pubblico ai sensi del diritto europeo.
Tuttavia a parere del Consiglio entrambe queste motivazioni non appaiono condivisibili per le seguenti ragioni:
- gli ordini professionali non sono organismi di diritto pubblico ai sensi del diritto europeo in quanto non ne presentano i requisiti previsti dall'art. 2, par. 4 della direttiva 2014/24/UE nonché l'art. 3, c.1, lett. d) del codice dei contratti pubblici, quali i) essere finanziato "per la maggior parte dallo Stato, dalle autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico"; ii) avere la gestione "posta sotto la vigilanza di tali autorità o organismi"; iii) avere un organismo di amministrazione, di direzione o di vigilanza "costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, da autorità regionali o locali o da altri organismi di diritto pubblico";
- neanche il richiamo operato dal previgente codice degli appalti agli enti pubblici non economici (art. 3, co. 1, lett. a, d.lgsl. n. 50 del 2016) può valere a ricomprendere gli ordini professionali, in quanto quando il suddetto art.3, lett. a) si riferisce, agli "enti pubblici non economici" quali amministrazioni aggiudicatrici, esso deve essere interpretato nel senso che si riferisca agli enti pubblici non economici che rivestono, al contempo, anche la natura sostanziale di "organismi di diritto pubblico", in quanto enti pubblici diversi dallo Stato centrale e dalle autorità di governo regionali e locali, ma comunque legati ad essi da uno stretto rapporto di dipendenza;
- secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia agli ordini professionali non si applicano le direttive sugli appalti; infatti, la Corte di giustizia ha escluso espressamente che un Ordine dei medici tedesco possa essere qualificato come organismo di diritto pubblico, con conseguente impossibilità di soggezione dell'Ente alle direttive sugli appalti (Corte di Giustizia, sentenza 12 settembre 2013, C-526/11);
- in sede di recepimento delle direttive europee il legislatore italiano non può introdurre una disciplina più gravosa di quella europea (divieto di gold plating), che quindi costituisce il massimo di regolazione pubblica esperibile e non un minimo.
Il Tar Lazio, con sentenza n.7455 del16 aprile 2024, con cui ha respinto il ricorso proposto avverso la sopra citata nota ANAC, ha affermato la soggezione degli ordini professionali al codice degli appalti, sul presupposto della prevalenza dell'interesse generale alla tutela della concorrenza degli operatori del settore, assicurata dalle più stringenti regole dell'evidenza pubblica.
Tuttavia il Consiglio non ha ritenuto convincente tale argomentazione in quanto la sentenza appare sbrigativa ed incorre con tutta probabilità in più di un vizio motivazionale, specialmente laddove travisa il divieto di gold plating, ritenendo che con esso la fonte europea costituisce "solo un minimo inderogabile per gli Stati membri, che mantengono un margine di apprezzamento rispetto ai principi minimi, essendo consentito ai medesimi adottare una disciplina che prevede regole concorrenziali di applicazione più ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario".
Alla luce del quadro descritto e degli orientamenti giurisprudenziali richiamati, il Consiglio nazionale forense si è riservato di valutare l'opportunità di avviare gli opportuni contatti con l'ANAC al fine di verificare la possibilità di concordare semplificazioni nell'applicazione del codice degli appalti, specialmente per gli ordini con minori dotazioni di personale in organico e dotazioni patrimoniali ridotte.