Riferimenti normativi: Art.19 D.Lgs.n.546/92 - Art.364 D.Lgs.n.14/2019
Focus: Se un contribuente viene a conoscenza di una pretesa impositiva da parte dell'Agenzia delle Entrate solo in seguito a rilascio di un certificato dei carichi fiscali pendenti può impugnarlo?
Principi generali: L'art.19 del D.Lgs. n.546/1992 contiene un elenco tassativo degli atti impugnabili in sede giurisdizionale tra cui non figura il certificato dei carichi fiscali pendenti. Quest'ultimo documento è stato recentemente disciplinato dall'art.364, commi 1 e 2, del D.Lgs. n.14/2019 (cd.Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) per rendere più agevole l'istruttoria dei procedimenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza attraverso un'esposizione dei debiti del contribuente nei confronti dell'amministrazione finanziaria. In particolare, il Direttore dell'Agenzia delle Entrate con provvedimento del 27/6/2019, prot. n. 224245/2019, ha stabilito il contenuto del modello approvato con la denominazione di "certificato unico debiti tributari" che deve attestare l'assenza di debiti tributari o la sussistenza di debiti tributari non soddisfatti, in materia di imposte dirette, imposta sul valore aggiunto e altre imposte indirette, in base ai dati risultanti nel sistema informativo dell'anagrafe tributaria. Il certificato, anche nella versione antecedente alla regolamentazione prevista dal D.Lgs.n.14/2019, è un documento sommario e riepilogativo destinato a fornire informazioni sintetiche e riassuntive sull'esistenza, sulla consistenza, sulla natura e sullo stato dei debiti tributari per consentire di valutare l'affidabilità e la solvibilità del contribuente in sede contrattuale, amministrativa o giudiziaria.
Esso presenta, in allegato, un prospetto che riporta i debiti con l'ammontare e lo stato della riscossione alla data di rilascio del certificato stesso, dal quale si possono ricavare informazioni sulla tipologia di atto da cui scaturisce il debito (es.un avviso di accertamento, un atto di contestazione, una cartella di pagamento ecc.), il numero identificativo dell'atto, l'anno di imposta, la data di notifica, l'importo residuo del debito, l'eventuale presenza di una rateizzazione in corso, ecc. Tale documento, poiché è inidoneo a contenere un'informazione completa ed esaustiva su qualsiasi pretesa impositiva, non è impugnabile per mancanza di interesse del debitore, ex art.100 c.p.c., a richiedere e ad ottenere il suo annullamento in sede giurisdizionale. Da ciò deriva che "il tenore stesso del documento non garantisce il livello minimo di cognizione sulle singole pretese tributarie che è indispensabile per l'esercizio del diritto di difesa dinanzi al giudice tributario" (Corte di Cassazione, Ordinanza n.13536 del 2 luglio 2020). La tesi della Suprema Corte di Cassazione è stata recentemente ribadita dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale Toscana n.360/8 dell'1 aprile 2021 in un caso in cui il contribuente chiedendo un certificato dei carichi (fiscali) pendenti risultanti dall'anagrafe tributaria, aveva appreso dell'esistenza di una cartella esattoriale a proprio carico, sconosciuta e mai notificata, della quale aveva chiesto la declaratoria di inesistenza, in primo grado di giudizio, ed il rilascio di un certificato emendato. L'Agenzia delle Entrate aveva eccepito l'inammissibilità del ricorso perché il certificato non poteva considerarsi fra gli atti autonomamente impugnabili ex art. 19 del D.Lgs. 546/92. La parte ricorrente, con successiva memoria, richiamando giurisprudenza di legittimità ( Cass., SS.UU. sent. n.19704/15) sosteneva che il ricorso fosse ammissibile consentendo la declaratoria di inesistenza della notifica della cartella. La Commissione tributaria provinciale, ritenendo di poter interpretare la domanda nella sua portata sostanziale e affermando che la stessa contenesse implicitamente la domanda di nullità della notifica, su cui l'Agenzia non aveva preso posizione limitandosi a dedurre la inammissibilità del ricorso medesimo, accoglieva la domanda condannando l'Agenzia delle Entrate alle spese.
L'Ufficio appellava la sentenza ed insisteva per l'inammissibilità del ricorso affermando che dalla stessa sentenza di legittimità richiamata in primo grado dal ricorrente si ricava il principio secondo il quale l'estratto di ruolo, atto interno all'amministrazione, è impugnabile solo in quanto espressione del ruolo, atto specificamente previsto fra quelli impugnabili dal D.Lgs.n.546/92, mentre nel caso di specie è stato impugnato un certificato dei carichi pendenti che non ha alcun valore impositivo e non rappresenta la prova del ruolo e, quindi, non può essere autonomamente impugnato. Il contribuente, aggiungeva l'Ufficio, in esito all'esame del certificato avrebbe potuto chiedere l'estratto di ruolo ed impugnare quello.La parte appellata, richiamando gli argomenti sviluppati in primo grado, sosteneva, invece, che sussistesse il proprio interesse ad agire per cui, secondo il principio contenuto nella sentenza della Corte Suprema, qualunque atto dal quale si deduca l'esistenza di un atto impositivo del quale si eccepisca un vizio di nullità, come l'omessa notifica, può essere impugnato. In ogni caso, nella fattispecie, l'interpretazione della domanda consentiva di ritenere ammissibile il ricorso perché diretto a far dichiarare la nullità di una cartella mai notificata. La Commissione tributaria regionale ha accolto l'appello dell'Ufficio ritenendo che il contribuente non può chiedere l'annullamento del certificato dei carichi pendenti col fisco introdotto dal codice della crisi d'impresa. Si tratta, infatti, di un documento sintetico e riepilogativo non meritevole di tutela giurisdizionale in quanto non contenente un'informazione completa ed esaustiva su un'autonoma e nuova pretesa impositiva.