Carlo Alberto Dalla Chiesa (1920-1982), veniva barbaramente ucciso a Palermo la sera del 3 settembre 1982, con la moglie Emanuela Setti Carrara e l'agente della scorta Domenico Russo che li seguiva con un'altra auto.
Non appena erano usciti dalla Prefettura di Palermo.
Il generale della Chiesa era stato nominato Prefetto di Palermo tre mesi prima dal presidente del Consiglio Giovanni Spadolini.
Da giovane ufficiale dell'Arma dei Carabinieri Dalla Chiesa era stato in Sicilia, negli anni sessanta del secolo scorso per la lotta alla criminalità organizzata.
Quindi conosceva già gli ambienti malavitosi dell'Isola.
Ma chi era il generale della Chiesa. Un autentico servitore dello Stato.
Nel 1974, quando in Italia varie sigle terroristiche, di destra e di sinistra, cominciarono a commettere i primi omicidi, il generale Dalla Chiesa organizzò un "gruppo antiterrorismo" che ottenne notevoli risultati contro le Brigate Rosse, soprattutto, ma anche tra quei gruppi "meglio" organizzati.
Prima della nomina a Prefetto di Palermo, il generale Dalla Chiesa aveva richiesto poteri speciali identici a quelli messi in campo contro il terrorismo.
Poteri che erano stati promessi, ma mai ottenuti.
Dopo tre mesi, vissuti nella più perfetta solitudine, Dalla Chiesa intuisce che quei poteri non arriveranno mai. E comincia a chiedersi quali erano i motivi veri della sua nomina a prefetto senza quei poteri, insistentemente richiesti, adeguati alla lotta senza quartiere che avrebbe voluto combattere.
Il 2 aprile 1982, veniva ucciso a Palermo Pio La Torre il giorno dopo il suo insediamento alla prefettura di Palermo. Ed era stato proprio Pio La Torre a suggerire al presidente Giovanni Spadolini la nomina di Dalla Chiesa a Prefetto di Palermo.
Sono passati quarant'anni e non si è riusciti a ricomporre parecchie caselle di questo sciagurato gioco al massacro.
Una casella importantissima, rimasta vuota, è la scoperta dell'apertura della cassaforte della Prefettura, dopo l'uccisione di Dalla Chiesa.
Scrive Attilio Bolzoni, in un bellissimo libro che abbiamo recensito a suo tempo: "La cassaforte è vuota. C'è solo una piccola scatola verde. Anche la scatola è vuota. È tutto quello che trovano: una scatola vuota dentro una cassaforte vuota. Palermo ingoia tutto in una notte. Fra le stanze buie di Villa Pajno, la residenza privata dei prefetti, scompare ogni segno della lunga estate di solitudine di un uomo ucciso lentamente tra Roma e la Sicilia. Omicidio premeditato, annunciato, dichiarato. Omicidio fortemente voluto per chiudere un conto con un generale diventato troppo ingombrante. Una leggenda per i suoi carabinieri, un mito della lotta al terrorismo degli Anni Settanta, una minaccia permanente per l'Italia che sopravvive fra patti e ricatti".
Che il generale avesse intuito il disinteresse della politica di concedere quanto aveva richiesto, per un'efficace lotta alla mafia, non ci sono dubbi.
E per averne certezza è sufficiente leggere il suo "Testamento" morale rilasciato in un'intervista al giornalista Giorno Bocca e pubblicato su "la Repubblica" il 10 agosto 1982. A meno di un mese della sua uccisione.
In questa intervista c'è il passato e il presente di un'Italia che non riesce ad essere società civile impegnata nella lotta al malaffare cronico e storicamente vincente.
Ad una domanda di Bocca sull'arroganza della mafia, il generale risponde:
"A un giornalista devo dirlo? uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo".
Era questa la situazione dell'ordine pubblico a Palermo in quegli anni.
E mentre il Generale aspettava quei poteri che gli avrebbero permesso di iniziare quel lavoro per cui era arrivato a Palermo, anche se con la nomina di prefetto, non riuscì mai a realizzare.
E lo dice esplicitamente nell'intervista a Bocca, quali erano gli intenti della sua venuta in Sicilia.
" 'Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell'interesse dello Stato".
Un'intervista questa di Giorgio Bocca che ogni cittadino dovrebbe avere in casa, assieme alla carta Costituzionale per onorare quei Servitori dello Stato, che non sono pochi, e diffidare dai "quaraquaqua", per dirla con Leonardo Sciascia, che occupano il Palazzo.