Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 18 Luglio 2020
Categoria: Di Libri di altro

“C’era una volta Niscemi” Storia di un archivio di famiglia

Sono molti gli scrittori che hanno descritto la "posizione geografica" della città di Niscemi, comune giovane, 30 giugno 1626 data della concessione della "Licentia populandi", da parte del viceré cardinale Giovanni Giannettino Doria su richiesta di Donna Giovanna Branciforti a nome del figlio Giuseppe.

E non c'è dubbio che la descrizione più poetica sia quella di Giuseppe Conti sul suo "Sicilia paesana".

Ma per chi volesse raggiungerla, fosse solo per visitare il nuovo Museo Civico, con le due sezioni, il Museo della civiltà contadina, con i suoi 4000 reperti etnoantropologici, e la sezione di Storia Naturale, o la Riserva naturale con la Quercia di oltre quattrocento anni, o per le sue Chiese neo-barocche, distrutte e ricostruite dopo il terremoto dell'11 gennaio 1693, è sufficiente sapere che si trova su una collina a metà strada tra Gela e Caltagirone.

E una visita oggi potrebbe essere propiziata dall'uscita di questo splendido libro-catalogo, "C'era una volta … Niscemi. Storia di un archivio di famiglia", di Giuseppe Salvatore Spinello Benintende.

Bisogna riconoscere che, negli ultimi decenni, non sono mancati libri che testimoniano gli aspetti etnoantropologici di antiche civiltà contadine del Meridione d'Italia, grazie a ritrovamenti, quasi sempre per caso, di oggetti, documenti, attrezzi di lavoro legati alla "memoria rurale".

Nel 1978 Gesualdo Bufalino ha curato un libro di fotografie: Gioacchino Iacono e Francesco Meli, "Comiso ieri. Immagini di vita signorile e rurale" Editore Sellerio, Palermo, appunto trovate per caso, risalenti alla fine dell'Ottocento, nel solaio di una vecchia fattoria di Comiso.

"E' difficile oggi per noi, che soffriamo da un giorno all'altro le accelerazioni e i su e giù della storia, immaginare quale dovesse essere la vita in un borgo alla periferia del Regno, quasi un secolo fa, al tempo dei lampioni. Poiché, se è vero, come si legge in qualche posto, che la forma di una città muta più rapidamente del cuore di un uomo, è vero altrettanto che non solo la forma, ma l'odore e il colore e il respiro di una città ad ogni istante si fanno diversi. Nessuna testimonianza a futura memoria – effemeridi, cartoline illustrate,oggetti d'uso museificati nelle bacheche, epitaffi sbiaditi nei camposanti – saprebbe mai risuscitare quell'ineffabile amalgama di mimiche, gerghi, tics, portamenti, massonerie, di cui s'è costruito in un certo luogo e in un certo momento, il volto di una comunità", scrive Bufalino. E sarà questo suo primo libro, di raffinata scrittura, che incuriosisce Elvira Sellerio, ne parla con Leonardo Sciascia, e, dopo un incontro a Palermo, convincono Bufalino a pubblicare "Diceria dell'untore", ma questa è un'altra storia. 

Mi sono ricordato di questa citazione di Bufalino leggendo, e rileggendo, questo libro di Giuseppe Spinello che, fin da giovanissimo si è dedicato alla ricerca di tutto ciò che rappresentasse una cavalcata tra l'Ottocento e gli ultimi decenni del Novecento. Una cavalcata non casuale, ma mirata nell'archivio di famiglia, "Voglio precisare che questo lavoro altro non è che una riproduzione per immagini e per elencazione dell'archivio e non passi l'idea, per favore, che io abbia voluto scrivere un libro di storia né io abbia l'ardire di ritenermi storico o depositario di chi lo sa quale importante notizia del passato" scrive l'Autore; e nella biblioteca di casa, fornitissima e diligentemente curata anche dalla "signora Mimì", recentemente scomparsa e madre di Giuseppe: "La biblioteca diventa metafora eterna di un lungo viaggio verso il sapere".

Il libro si apre con un autografo originale: "E' con questa firma autografa del 1822, trovata in un vecchio libro custodito nella biblioteca di casa, che desidero dare ad ogni lettore il benvenuto in un viaggio immaginario e spero anche emozionale, nella Niscemi di qualche secolo fa, tra antichi documenti, libri, cartoline e fotografie custoditi gelosamente nell'archivio di famiglia Spinello Benintende. Se per me la passione per i documenti antichi è iniziata all'età di quattordici anni, con la scoperta casuale in un cassetto di un vecchio mobile di una cartolina di Niscemi, quella del belvedere con le scale che portavano verso la piana di Gela, in famiglia già c'era chi si dava alla raccolta di tutto ciò che riguardasse la storia del paese". 

 Il libro contiene 150, tra foto e documenti, con delle didascalie che aprono orizzonti nuovi sulla "Niscemi di una volta", con abitudini, con "tics", con aneddoti che mettono in luce, persone e personaggi, che non necessariamente devono occupare un posto di rilievo in un immaginario "Pantheon storico".

Si tratta di famiglie, il più delle volte imparentate tra di loro che, nell'alveo dei vari rami cadetti della famiglia Branciforti, passarono la maggior parte del loro tempo nei tribunali per dirimere processi, il più delle volte, per questioni ereditarie.

Ci sono alcuni "fatti storici" che vengono narrati in una sofferta prospettiva "ironica". E a giusta ragione.

Una riguarda il ritrovamento del "Sacro Velo", con l'immagine della Madonna del bosco il 16 maggio, e non il 21, del 1599."Ritrovamenti miracolosi" che servivano alle famiglie feudali per popolare i loro territori. Ritrovamenti che, proprio tra la fine del XVI e XVII secolo, fioriscono numerosi. Lo dice Giuseppe Pitrè, ma lo dicono anche altri scrittori, Leonardo Sciascia, per esempio, nelle "Parrocchie di Regalpetra".

Un altro riguarda la visita del 10 ottobre 1838 del re Ferdinando II di Borbone, che arrivato a Niscemi da Gela, per una visita, preferì proseguire per Caltagirone senza fermarsi lamentandosi con gli Amministratori "… per il cattivo stato in cui si trovavano le strade".

Scrive Spinello: "E' la non storia che non si ripete, se a distanza di secoli ancora oggi ci lamentiamo per l'incuria delle strade, per la penuria d'acqua, per la mancanza dei servizi. Questa grave assenza è legata alla mancanza di un qualsiasi evento storico niscemese eclatante, come su inteso ed è la conseguenza ma al tempo stesso la causa, ma è un mio parere, dell'evidente carenza di orgoglio che, se ci fosse, sarebbe l'embrione di molte virtù necessarie. Quindi non per forza bisogna dare a Niscemi origini remote. Non per forza ad ogni evento corrisponde un fatto storico. Non per forza bisogna dare a Niscemi glorie risorgimentali che non ha".

Eccellenti argomenti che potrebbero servire, e non poco, per un eventuale confronto con il nostro passato. E non solo di Niscemesi.

Al termine del libro un interessantissimo elenco dei documenti.

Questo lavoro di Giuseppe Spinello ha moltissimi meriti, storici ed archivistici, sociali ed umani presentati con una proprietà di linguaggio, con un rigore nella scelte dei testi che nulla hanno da invidiare a chi si professa storico di professione. O occasionale.

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