Fonte (https://www.codicedeontologico-cnf.it/)
Con decisione n.. 129/22 il Consiglio Nazionale Forense ha affrontato il tema del rapporto di colleganza tra il dominus della causa e il collega domiciliatraio al fine di determinare se l'obbligo di corrispondere l'onorario del domiciliatario incomba sull'avvocato mandante o sul cliente.
Analizziamo la vicenda sottoposta al Consiglio Nazionale Forense.
I fatti del procedimento disciplinare
L'avvocato domiciliatario ha presentato un esposto nei confronti dell'avvocato ricorrente, in quanto, nonostante le reiterate richieste, non ha ricevuto il proprio compenso relativo all'attività svolta in un'azione esecutiva presso il Tribunale. L'avvocato ricorrente è stato pertanto sottoposto a procedimento disciplinare per rispondere degli addebiti contestati, tra i quali la violazione dell'art.43 del Codice deontologico forense per non aver provveduto al pagamento dell'onorario del proprio domiciliatario.
L'incolpato ha contestato ogni addebito, assumendo che l'avvocato domiciliatario è stato inserito nella procura alle liti, per cui sarebbe venuto meno il suo obbligo solidale nel pagamento del compenso; inoltre ha riferito di aver sollecitato la comune cliente a far fronte agli obblighi scaturenti dall'attività prestata, ma non ha fornito alcuna prova in merito.
Il CDD, aderendo all'indirizzo di legittimità secondo il quale il rapporto che interviene tra i due avvocati prende la forma del contratto di mandato e non quella del contratto a favore di terzi, ha affermato che l'onorario del domiciliatario debba essere versato dall'avvocato mandante e non dal cliente (Cass., sentenza n. 25816/2011) ed ha, conseguentemente, inflitto all'avvocato incolpato la sanzione disciplinare della censura ritenendo sussistente la sua responsabilità per la violazione dell'art. 43 del Codice Deontologico.
L'avvocato ricorrente ha impugnato la decisione del CDD, ritenendo che il principio affermato dal CDD, per il quale l'avvocato è tenuto a retribuire il collega che lui stesso abbia individuato quale domiciliatario, è stato erroneamente applicato nel caso di specie, in cui, invece, l'avvocato domiciliatario ha ricevuto dal cliente mandato congiunto con l'incolpato e contestuale elezione di domicilio. Conseguentemente non sussisterebbe, secondo l'incolpato, la violazione dell'art. 43 del Codice Deontologico, che opererebbe laddove il domiciliatario sia stato scelto dall'avvocato e non direttamente dal cliente, né può configurarsi una obbligazione diretta dell'incolpato a dover provvedere al pagamento delle spettanze del collega.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Sul punto il Consiglio Nazionale Forense ha ricordato il principio consolidato, sia in sede di legittimità che nella giurisprudenza forense, secondo il quale "L'avvocato che abbia scelto o incaricato direttamente altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza, ha l'obbligo di provvedere a retribuirlo, ove non adempia il cliente, ex art. 43 cdf (già art. 30 codice previgente)" (cfr. Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 259 del 30 dicembre 2021; Cass. civ., Sez. II, Sent., 02/12/2011, n. 25816). Questo principio non opera allorquando l'incarico di co-difesa o mera domiciliazione non sia pervenuto dall'avvocato dominus, ma direttamente dal cliente (cfr. Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 244 del 31 dicembre 2018).
Tuttavia, nel caso di specie il CNF ha rilevato la mancanza di un qualsivoglia elemento di fatto che possa consentire di disattendere al principio di diritto correttamente applicato dalla CDD, in quanto
- l'incarico di domiciliazione (così come l'inserimento in procura) è avvenuto su indicazione e per scelta dell'avvocato ricorrente, il quale è stato l'interlocutore unico dell'avvocato domiciliatario che dal primo ha ricevuto le direttive e le indicazioni concernenti la procedura esecutiva che li ha visti coinvolti;
- manca una documentazione che attesti contatti e rapporti diretti tra l'avvocato domiciliatario e la comune cliente,
- l'avvocato domiciliatario ha fatto riferimento all'avvocato ricorrente per ottenere le sue spettanze.
Peraltro per la giurisprudenza di legittimità "La domiciliazione dell'avvocato presso un altro collega non determina l'insorgenza della qualifica di co-difensore in capo al domiciliatario, a nulla rilevando che il cliente sottoscriva la procura ad litem anche nei confronti di quest'ultimo. Il rapporto che interviene tra i due avvocati, infatti, prende la forma del contratto di mandato e non quella del contratto a favore di terzi. Conseguentemente, l'onorario del domiciliatario deve essere versato dall'avvocato mandante e non dal cliente" (Cass. civ., Sez. II, Sent., 02/12/2011, n. 25816).
Tra l'altro è principio consolidato quello per cui incorra in un comportamento deontologicamente rilevante "perché lesivo del dovere di colleganza l'avvocato che ometta di adempiere al pagamento delle prestazioni procuratorie affidate la collega, considerando che in questo caso il rapporto si svolge direttamente tra colleghi, ed è verso il mandante che si dirige l'affidamento dell'avvocato incaricato per la corretta e utile gestione della controversia" (cfr. Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 27 giugno 2003, n. 192). Inoltre è suscettibile di censura "per violazione degli artt. 19 e 43 ncdf (già 22 e 30 codice previgente) il professionista che ometta di dare riscontro alle ripetute richieste di informativa del Collega domiciliatario e che, tenendo un comportamento puramente dilatorio, non si adoperi affinché quest'ultimo ottenga il soddisfacimento delle proprie spettanze professionali" (cfr. Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 12 luglio 2016, n. 193).
Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso, confermando la decisione impugnata.