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Con sentenza n.34961 del 13 dicembre 2023 la Corte di Cassazione ha esaminato la normativa di cui al D.Lgs. n.96/2001 che dà attuazione alla direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, precisando i presupposti per la dispensa dalla prova attitudinale.
Analizziamo la questione sottoposta alla Corte di Cassazione.
I fatti del procedimento disciplinare
Nel caso di specie il ricorrente è un Abogado che ha chiesto l'iscrizione all'Albo ordinario come avvocato stabilito, previa dispensa della prova attitudinale di cui al D.Lgs. n. 96/2001.
Al termine di una lunga istruttoria il COA ha respinto l'iscrizione ritenendo l'insussistenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n.96/2001 dal momento che il professionista si è limitato a collaborazioni riferite a quattro procedimenti giudiziari nei quali non è stato ben chiaro quale fosse stato il suo reale apporto e non ha dimostrato il presupposto dell'adeguato numero di clienti e del correlato giro d'affari realizzato.
L'Abogado ha impugnato il rigetto dell'iscrizione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense il quale ha respinto il ricorso ritenendo corretta l'analisi svolta dal COA e di conseguenza il ricorrente ha presentato ricorso dinnanzi avverso la decisione del CNF lamentando la violazione degli artt.12 e 13 D.Lgs. n.96/2001.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha ricordato che a norma del suddetto decreto
- "l'avvocato stabilito che per almeno tre anni, a decorrere dalla data di iscrizione nella sezione speciale dell'albo degli avvocati, abbia esercitato in Italia, in modo effettivo e regolare, la professione con il titolo professionale di origine è dispensato dalla prova attitudinale di cui all'art.8 D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115" (art. 12 comma 1);
- per espressa previsione legislativa per "esercizio effettivo e regolare della professione" si intende l'esercizio reale dell'attività professionale esercitata senza interruzioni che non siano quelle dovute agli eventi della vita quotidiana, mentre nel caso di interruzioni dovute ad eventi di altra natura, l'attività svolta è presa in esame se la stessa ha avuto una durata almeno triennale, senza calcolare il periodo di interruzione, e se non vi siano ragioni che ostino ad una valutazione dell'attività come effettiva e regolare (art.12 comma 2);
- inoltre "l'avvocato stabilito che è stato dispensato dalla prova attitudinale, se concorrono le altre condizioni previste dalle disposizioni in materia di ordinamento forense, può iscriversi nell'albo degli avvocati e per l'effetto esercitare la professione con il titolo di avvocato" (art.12 comma 3).
- la domanda di dispensa si propone al Consiglio dell'ordine presso il quale l'avvocato stabilito è iscritto e deve essere corredata dalla documentazione relativa al numero e alla natura delle pratiche trattate, nonché dalle informazioni idonee a provare l'esercizio effettivo e regolare dell'attività professionale svolta nel diritto nazionale, ivi compreso il diritto comunitario, per il periodo minimo di tre anni (art.13 comma 1).
La disciplina descritta che dà attuazione alla direttiva 98/5/CE consente al soggetto munito di equivalente titolo professionale di altro Paese membro
a) di chiedere l'iscrizione nella Sezione speciale dell'Albo italiano del Foro nel quale intende eleggere domicilio professionale in Italia avvalendosi del procedimento di «stabilimento/integrazione» previsto dalla citata direttiva 98/5/CE e,
b) di chiedere, al termine di un periodo triennale di effettiva attività in Italia, di essere «integrato» con il titolo di avvocato italiano e l'iscrizione all'Albo ordinario, dimostrando al Consiglio dell'Ordine l'effettività e la regolarità dell'attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito.
In tema di dispensa dalla prova attitudinale prevista dall'art.12 del D.Lgs. n.96/2001, la Suprema Corte ha precisato che al fine di conseguire la dispensa suddetta, l'esercizio della professione forense da parte dell'avvocato stabilito deve essere:
a) di durata non inferiore a tre anni scomputando gli eventuali periodi di sospensione;
b) effettivo e quindi non formale o addirittura fittizio;
c) regolare e quindi nel rispetto della legge forense e del codice deontologico;
d) con il titolo professionale di origine, previa iscrizione nell'albo professionale.
La giurisprudenza di legittimità ha, altresì, evidenziato come l'esercizio della professione di avvocato senza aver conseguito in Italia la relativa abilitazione ovvero l'iscrizione mediante dispensa integra la condotta materiale del reato di abusivo esercizio di una professione ex art.348 c.p.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione effettuata dal COA e dal Consiglio Nazionale Forense; valutazione che non si è limitata ad una verifica del requisito del numero minimo dei affari trattati in ciascun anno. Infatti il COA ha rilevato che l'unica attività documentata svolta dal professionista con il titolo d'origine nel triennio è consistita collaborazioni per attività stragiudiziali in quattro procedimenti giudiziarie. Questa attività non è stata reputata rispondente alle prescrizioni di cui al D.Lgs. n.96/2001. Tra l'altro la valutazione del CNF circa l'esercizio effettivo e regolare della professione forense da parte dell'avvocato stabilito non è sindacabile in Cassazione trattandosi di apprezzamento rimesso al giudice di merito.
Per questi motivi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.