Sollevata dalle Sezioni Unite civili, con la sentenza n. 19197 del 12 luglio scorso, la questione di legittimità costituzionale, dell’art. 57 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 - che reca il divieto di deliberare la cancellazione dell’avvocato dall’albo durante lo svolgimento del procedimento disciplinare - nella parte in cui non prevede deroghe al divieto allorquando la perdurante iscrizione all’albo comporti la lesione di diritti fondamentali del professionista.
Numerosi i profili di illegittimità ravvisai dalla corte rimettente, tra cui spiccano la contrarietà all’articolo 2 della Costituzione e al nucleo essenziale della dignità umana ed al pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali - per l'irragionevole compromissione derivante dalla coartata permanenza nel gruppo professionale attraverso l’iscrizione all’albo, non più espressione,oramai, di una scelta di libertà riverberantesi sulla sfera della personalità del professionista, nel suo complesso - , ed inoltre
il contrasto con l’articolo 3 della costituzione, ritenendo i giudici della suprema corte che il divieto di cancellazione, espressione di supremazia dell’ordine sui propri iscritti mediante l’esercizio del potere disciplinare al fine di evitare una cancellazione strumentale ed elusiva della responsabilità disciplinare, si rileveli confliggente con l’esercizio del diritto potestativo del professionista che, versando nell’assoluta impossibilità di esercitare la professione di avvocato, si autodetermini alla cancellazione volontaria.
Spetterà ora alla Consulta valutare la fondatezza dei rilievi evidenziati dal giudice remittente che, se accolti, produrranno l'effetto di introdurre deroghe al divieto di cancellazione dall’albo in pendenza del giudizio disciplinare
.