Inquadramento normativo: Art.56 L. n.247/2012,
Fonte (https://www.codicedeontologico-cnf.it/, http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/)
L'art.56 L. 247/2012 sancisce che "l'azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto" (comma 1). La giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense affrontando, il tema del dies a quo della prescrizione disciplinare, ha affermato la necessità di operare una distinzione tra illecito deontologico omissivo, permanente o continuato. Conseguentemente il Consiglio ha affermato che il dies a quo per la prescrizione dell'azione disciplinare deve essere individuato:
- nel momento della commissione del fatto solo se questo integra una violazione deontologica di carattere istantaneo che si consuma o si esaurisce al momento stesso in cui viene realizzata;
- nella data della cessazione della condotta nel caso in cui la violazione risulti integrata da una condotta protrattasi e mantenuta nel tempo (CNF sentenza n.134/2022).
Ma quid iuris nel caso in cui la condotta del legale configuri sia un illecito deontologico permanente sia un reato istantaneo?
Nel caso in cui la condotta contestata oltre alla commissione di un illecito disciplinare integri, altresì, fattispecie penali, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che per valutare la fondatezza dell'eccezione di prescrizione occorre preliminarmente stabilire se si tratti di un illecito istantaneo ovvero permanente partendo dalla considerazione ontologica che le fattispecie contestate hanno natura disciplinare e non penale, ancorché in parte sussumibili in norme incriminatrici penali.
Ad es., quand'anche la condotta dell'avvocato si sia concretizzata nell'impossessamento o trattenimento ingiustificato della somma che l'avvocato ha ricevuto in nome e per conto del cliente, non si possono evocare sic et simpliciter le fattispecie delittuose "parallele" di truffa e appropriazione indebita, che integrano reati istantanei e non permanenti.
Occorre, invece, affermare la natura permanente di quelle condotte disciplinari poste in essere dall'avvocato che non si esauriscono nella semplice percezione della somma, ma ricomprendono "il comportamento, protrattosi nel tempo, consistente nell'avere l'avvocato mantenuto nella propria disponibilità un importo che, invece, avrebbe dovuto essere immediatamente riconsegnato al cliente" (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n.17322/2019; Sez. 2, n. 15735/2020). Ciò comporta che il dies a quo dal quale il termine prescrizionale inizia a decorrere deve essere individuato nella decisione disciplinare di primo grado (Cass. SS.UU. n.23239/2022).
Effetti dell'interruzione della prescrizione
Il comma 3 primo capoverso del succitato art.56 disciplina l'interruzione del termine di prescrizione stabilendo che "il termine della prescrizione è interrotto con la comunicazione all'iscritto della notizia dell'illecito" nonché "dalla notifica della decisione del consiglio distrettuale di disciplina e della sentenza pronunciata dal CNF su ricorso".
Il Consiglio nazionale forense ha avuto modo di precisare che nel procedimento disciplinare l'interruzione della prescrizione produce effetti diversi a seconda che si verifichi dinanzi al Consiglio territoriale o dinanzi al Consiglio nazionale forense. Infatti mentre "nel procedimento amministrativo dinanzi al Consiglio territoriale la prescrizione è soggetta ad interruzione con effetti istantanei in conseguenza dell'atto di apertura del procedimento ed anche di tutti gli atti procedimentalí di natura propulsiva o probatoria o decisoria; nella fase giurisdizionale davanti al Consiglio nazionale forense opera, invece, il principio dell'effetto interruttivo permanente, di cui al combinato disposto degli artt. 2943 e 2945, comma 2, c.c., effetto che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell'impugnazione innanzi alle Sezioni Unite e del giudizio di rinvio fino al passaggio in giudicato della sentenza" (CNF sentenza n.134/2022).
Rilevabilità d'ufficio
"La prescrizione dell'azione disciplinare è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche in sede di legittimità, a causa della natura pubblicistica della materia e dell'interesse superindividuale dello Stato e della comunità intermedia, quale l'ordine professionale" (CNF sentenza n.135/2022). La rilevabilità d'ufficio è stata ribadita che dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale "la prescrizione dell'azione disciplinare è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio e la sua soluzione non comporta indagini fattuali", che tra l'altro sarebbero precluse in sede di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. 32634/2022).
Interruzione della prescrizione
A norma del predetto comma 3 art.56 "da ogni interruzione decorre un nuovo termine della durata di cinque anni" e "se gli atti interruttivi sono più di uno, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi, ma in nessun caso il termine stabilito nel comma 1 può essere prolungato di oltre un quarto. Non si computa il tempo delle eventuali sospensioni". Ne consegue che al di là degli effetti della sospensione e dell'interruzione, la prescrizione "non può comunque essere prolungata di oltre un quarto rispetto ai sei anni indicati nel comma 1 dell'art. 56; pertanto, il termine complessivo di prescrizione dell'azione disciplinare deve intendersi in sette anni e mezzo". A questo proposito la Suprema Corte di cassazione ha precisato che "si tratta di una novità della nuova legge professionale, la quale segue, sotto questo profilo, criteri di natura penalistica, laddove secondo la disciplina previgente, ispirata a un criterio di natura civilistica, la prescrizione, una volta interrotta, riprendeva a decorrere nuovamente per altri cinque anni" (Cass. SS.UU. n.32634/2022).