La valutazione prognostica della negligenza dell'avvocato
La condotta dell'avvocato nei confronti del cliente deve essere sempre diligente. La valutazione della negligenza del professionista nell'ambito dello svolgimento della sua attività implica «una valutazione prognostica positiva - non necessariamente la certezza - circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata correttamente e diligentemente svolta» (Cass. Civ., n. 6862/2018, richiamata da Tribunale Avezzano, sentenza 9 novembre 2020). Ne consegue che ove manchino elementi probatori idonei «a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell'attività del prestatore d'opera, induce a escludere l'affermazione della responsabilità del legale». E ciò in considerazione del fatto che detta responsabilità «non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se, qualora l'avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni». In mancanza, ci sarebbe un difetto della prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale e il risultato derivatone (Cass. 22376/2012; Cass. n. 9917/2010, richiamate da Cass. Civ., n. 6862/2018).
Ma chi compie la valutazione prognostica su menzionata? La valutazione in questione è riservata al giudice di merito con un provvedimento insindacabile in sede di legittimità, a meno che la decisione del suddetto giudice non sia viziata da omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Tale insindacabilità discende dall'impossibilità da parte della Corte di Cassazione di effettuare un controllo sull'esattezza in termini giuridici della valutazione prognostica. E tanto perché, sebbene quest'ultima costituisca una valutazione di diritto per il suo contenuto tecnico-giuridico, essa si traduce in una valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., 3355/2014, richiamata da Cass. Civ., n. 6862/2018).
L'imperizia e le valutazioni ex ante del giudice
Di recente la Suprema Corte di Cassazione si è soffermata sul concetto di imperizia in punto di responsabilità dell'avvocato. Secondo i giudici di legittimità, «l'imperizia del difensore è configurabile allorché egli ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero risolva in modo errato questioni giuridiche prive di margine di opinabilità. Con l'ovvia conseguenza che la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità, purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato sia valutata (e motivata) dal giudice di merito "ex ante" e non "ex post", sulla base dell'esito del giudizio» (Cass. Civ., n. 23740/2018, richiamata da Tribunale Avezzano, sentenza 9 novembre 2020). In altre parole:
- la responsabilità dell'avvocato presuppone un'analisi della scelta procedurale e quindi della condotta del professionista da «contemperarsi con la valutazione ex post del risultato del giudizio»(Cass. Civ., n. 23740/2018, richiamata da Tribunale Avezzano, sentenza 9 novembre 2020);
- «si intende dare rilievo al risultato, pur utilizzando una prudente cautela in ordine alla valutazione del risultato del giudizio (Cass. Civ., n. 23740/2018, richiamata da Tribunale Avezzano, sentenza 9 novembre 2020) che si concentra e analizza un aspetto della colpa: l'imperizia»(Tribunale Avezzano, sentenza 9 novembre 2020).
Ma quando l'avvocato sarà considerato responsabile? L'avvocato sarà responsabile se:
- ometterà di informare il cliente su tutte le questioni di diritto e gli elementi di fatto ostativi dell'utile esperimento dell'azione (Cass., n. 16023/2002, richiamata da Tribunale Avezzano, sentenza 9 novembre 2020),
- tale omissione sarà causata dall'ignoranza degli istituti giuridici applicabili al caso, ovvero da incuria, negligenza e imperizia non suscettibili di ragionevole giustificazione (Cass., n. 16023/2002, richiamata da Tribunale Avezzano, sentenza 9 novembre 2020).
Il cliente e il mancato vantaggio causato da condotta negligente dell'avvocato
Il mancato vantaggio che il cliente avrebbe potuto conseguire se l'avvocato si fosse comportato con la dovuta diligenza costituisce un danno risarcibile. Con l'ovvia conseguenza che se viene omesso lo svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale patrimoniale per il cliente, «la regola della preponderanza dell'evidenza, o "del più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili». E ciò in considerazione del fatto che l'evento non verificatosi a causa dell'omissione è oggetto di indagine solo attraverso una valutazione prognostica in merito all'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa (Cass. Civ.,, n. 25112/2017, richiamata da Cass. Civ., n. 6862/2018).