Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it
Il comportamento dell'avvocato che sottragga dal fascicolo d'ufficio di un procedimento giudiziario atti e/o documenti per appropriarsene e/o distruggerli costituisce grave illecito disciplinare, oltreché penale in quanto vìola basilari doveri deontologici. Questo è quanto affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n.87 del 9 maggio 2023.
Analizziamola questione sottoposta all'attenzione del Consiglio.
I fatti del procedimento
Nella vicenda che qui ci occupa l'avvocato, recatosi presso la Segreteria della Procura della Repubblica, per visionare il fascicolo in qualità di difensore, si è appropriato di alcuni documenti e atti processuali contenuti nel fascicolo di un procedimento penale. Scoperta in flagranza la condotta, il legale è stato sottoposto ad un duplice procedimento:
- a giudizio penale a conclusione del quale è stato condannato a nove mesi di reclusione per il reato di violazione aggravata della pubblica custodia di cose (artt. 81, 351 e 61 n. 3 c.p.);
- a procedimento disciplinare per aver violato i doveri di probità dignità e decoro ex art.9 CDF e dei doveri di lealtà correttezza, fedeltà, diligenza e competenza ex artt.10,12,14 CDF.
Sul piano disciplinare il CDD ritenuta la responsabilità disciplinare del professionista ha applicato nei suoi confronti la sanzione della sospensione dalla attività professionale per due anni e dieci mesi.
L'avvocato ha impugnato la suddetta decisione disciplinare dinanzi al Consiglio Nazionale Forense lamentando nel merito:
- il difetto di motivazione, avendo, a suo parere, il CDD omesso di riferire i motivi per i quali i fatti accertati in sede penale avessero rilevanza deontologica;
- l'eccessività e la sproporzione della sanzione, che non avrebbe tenuto conto del riconoscimento in sede penale delle attenuanti, del grado di dolo e delle circostanze in cui si verificarono i fatti.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio ha ritenuto legittima la decisione del CDD il quale, senza discostarsi dall'accertamento penale, ha autonomamente riconosciuto la rilevanza deontologica del comportamento dell'incolpato. Ciò in considerazione di varie circostanze, quali: la medesimezza della condotta, la circostanza che l'incolpato abbia ammesso i fatti in sede di convalida dell'arresto, i luoghi, il grado del dolo, le implicazioni degli atti dallo stesso posti in essere, per come risultanti dalla sentenza penale, oggetto peraltro di conferma nei due gradi di impugnazione.
Quanto al trattamento sanzionatorio, il Consiglio ha condiviso sia la valutazione di congruità della sanzione applicata dal CDD sia la motivazione adottata dall'organo disciplinare territoriale.
Infatti il CDD ha applicato la sanzione della sospensione per anni 2 e mesi 10 dopo aver accertato la violazione dei canoni generali deontologici che devono assistere la condotta dell'avvocato, ossia i doveri di probità dignità e decoro e di lealtà correttezza, fedeltà, diligenza e competenza sanciti dagli artt. 9, 10, 12 e 14 CDF.
La congruità della sanzione inflitta discende dalla considerazione di tutte le circostanze e del comportamento globale dell'avvocato, visto che l'aver scoperto la commissione della condotta illecita in flagranza, ha cristallizzato il comportamento deontologicamente rilevante in tutta la sua gravità.
Tra l'altro la sanzione così determinata appare conforme al dettato di cui all'art.21 CDF, a norma del quale "La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione" (comma 3).
Infine, quanto alla eccessività e sproporzione della sanzione, il Consiglio ha affermato che "la rilevanza del periodo di sospensione cautelare "presofferto" da computarsi nel periodo di espiazione della sanzione disciplinare sollevata dal ricorrente, non attiene alla fase dell'impugnazione e della determinazione della sanzione bensì - come previsto dall'articolo 62, comma 3 della legge n. 247/12 - compete al consiglio dell'ordine al cui albo o registro è iscritto l'incolpato nella fase di esecuzione."
Sul punto il Consiglio ha rammentato che a norma dell'art, 62 comma 8 della legge professionale e l'articolo 35, comma 6 del Regolamento CNF 2/2014: «Qualora sia stata irrogata la sanzione della sospensione a carico di un iscritto al quale, per il medesimo fatto, sia stata applicata la sospensione cautelare, il Consiglio dell'Ordine determina d'ufficio senza ritardo la durata residua della sanzione, detraendo il periodo di sospensione cautelare già scontato».
Sulla base di queste argomentazioni il Consiglio Nazionale Forense ha respinto il ricorso e ha confermato il provvedimento impugnato.