Fonti: https://www.consiglionazionaleforense.it/
L'avvocato non può riprodurre a fini promozionali sul proprio sito internet e nella relativa newsletter i nominativi dei propri clienti anche nel caso in cui tali informazioni siano state eventualmente date dai media e da terzi in genere, i quali non sono tenuti al rispetto delle norme deontologiche forensi. È quanto stabilito dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 294 del 5 luglio 2024.
I fatti del procedimento
La vicenda da cui ha tratto origine la pronuncia del Consiglio riguarda un avvocato sanzionato con l'avvertimento per la violazione dell'art. 35, comma 8 del codice deontologico forense a norma del quale "Nelle informazioni al pubblico l'avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano."
L'avvocato è stato riconosciuto responsabile per aver divulgato diverse informazioni inerenti i propri clienti. Egli, infatti,
- ha pubblicato sul sito web del proprio studio legale un comunicato, inviato anche tramite la newsletter, in cui ha dato notizia di aver assistito un consorzio in un'operazione di leveraged buyout in ordine all'acquisizione di quote societarie di una s.r.l.,
- ha inviato una newsletter ad un collega comunicando che lo Studio legale ha assistito due società nelle procedure di concordato preventivo concluse con omologa del Tribunale,
- ha pubblicato un articolo in cui sono state riportate le note del Consiglio di Disciplina inerenti alla pubblicazione di post sui canali social relativi al conferimento di premi ad avvocati e contenenti anche informazioni sulla natura degli incarichi svolti, sui nomi di clienti e degli avvocati incaricati della pratica.
Il professionista ha proposto ricorso sostenendo che il CDD sarebbe incorso una erronea interpretazione dell'art. 35, co. 8, del codice Deontologico Forense il quale non sarebbe applicabile alla fattispecie concreta, in quanto le notizie pubblicate sul sito web del suo studio legale e i relativi comunicati stampa, sono stati pubblicati a seguito di identici articoli già diffusi dai media.
La decisione del Consiglio
Il Consiglio Nazionale Forense ha rilevato che, sebbene il fatto contestato sia stato inquadrato nell'ambito dell'art. 35 codice deontologico che vieta l'indicazione del nome del cliente, la finalità del comportamento dell'incolpato va ben oltre quella di semplice informazione ed indicazione del nome del cliente.
L'art.35 codice deontologico, infatti, è una norma applicativa di altre norme, quali:
- l'art. 10 Legge 247/2012 e l'art. 17 codice deontologico relativi all'"Informazione sull'esercizio dell'attività professionale";
- l'art. 28 codice deontologico relativo al "Riserbo e segreto professionale";
- l'art. 37 codice deontologico che sancisce il "Divieto di accaparramento".
Peraltro, la norma di cui all'art.35 prevede al primo comma che "l'avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza (...)". Il riferimento ai doveri di "segretezza" e "riservatezza" trova una chiara precisazione proprio al comma 8 che vieta espressamente all'avvocato di indicare il nominativo dei propri clienti o parte assistita "ancorché queste vi consentano". È chiaro anche il collegamento con l'art. 28 codice deontologico che precisa il dovere, oltre che diritto primario e fondamentale dell'avvocato, di mantenere il segreto ed il massimo riserbo sull'attività prestata, riserbo che deve estendersi anche al nominativo della parte assistita.
Inoltre il Consiglio, richiamando la giurisprudenza di legittimità, ha sottolineato che la norma di cui all'art.35 succitato, non tutela solo il diritto/dovere di riservatezza e segretezza, ma anche l'immagine, la dignità ed il decoro della professione. Il rapporto tra clienti ed avvocati, infatti, non ha valenza meramente privatistica a carattere libero professionale, ma possiede un'importante valenza pubblicistica. Ciò in quanto l'avvocato non è solo un libero professionista, ma anche il necessario "partecipe" dell'esercizio diffuso della funzione giurisdizionale, dal momento che nessun processo può essere celebrato senza l'intervento di un avvocato. Ne discende che il rapporto tra il professionista ed il cliente non è influenzabile dalla volontà e dalle considerazioni personali degli stessi protagonisti con la conseguenza che il consenso prestato dai clienti alla diffusione dei propri nominativi a fini pubblicitari non è sufficiente ad escludere il divieto di divulgazione dei nominativi stessi (Suprema Corte, Sez. Un. del 19.4.2017 n. 9861)
Peraltro il divieto per l'avvocato di indicare il nominativo dei propri clienti, ancorché questi vi consentano, si è mantenuto nel tempo (dal primo Codice Deontologico del 1997, al successivo decreto Bersani n. 223/2006, alla Legge Professionale n. 247/2012, alla nuova versione del Codice del 2014, ma anche alla modifica dell'art. 35 codice deontologico deliberato dal Consiglio Nazionale Forense il 22 gennaio 2016. Né tale divieto può essere eluso dall'avvento (anche in campo legale) di nuovi mezzi di informazione diversi dai media tradizionali, in cui la notizia non viene recepita dal giornalista, ma quasi sempre fornita dagli stessi professionisti come forma palese di informazione/pubblicità. Ebbene, a parere del Consiglio, la pubblicazione attraverso tali mezzi di informazione costituirebbe un facile, quanto inaccettabile, "escamotage" per eludere il divieto posto dall'art. 35 codice deontologico.
Per tali motivi, il Consiglio ha respinto il ricorso ritenendo che l'avvocato abbia violato la norma deontologica e sia responsabile dell'illecito disciplinare commesso.