È adeguata la sanzione della radiazione per un avvocato che tenga condotte penalmente rilevanti collegate al suo stato di tossicodipendente? É la questione sulla quale è stato chiamato a pronunciarsi il Consiglio Nazionale Forense, a parere del quale, anche se la detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio, rilevata nel caso di specie, costituisce un comportamento gravissimo che lede enormemente l'immagine della professione forense, la determinazione della sanzione deve avvenire sulla base dei parametri stabiliti dall'art.21 Codice deontologico forense, tenendo eventualmente conto anche della profonda resipiscenza dell'incolpato (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.149 del 26 settembre 2022).
Vediamo la vicenda su cui si è pronunciato il Consiglio.
I fatti di causa
La vicenda trae origine dall'arresto di un avvocato in flagranza del reato di cui all'art. 73 comma 1 DPR, essendo stato rinvenuto in possesso di grammi 56 di cocaina. Tra l'altro il suddetto avvocato era già noto alle forze dell'Ordine per altre condotte penalmente rilevanti, comunque collegate al suo stato di tossicodipendente. A seguito di tale arresto nei confronti sono state emesse due ordinanze custodiali nei confronti del professionista.
Le ordinanze sono state trasmesse al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, il quale ha applicato nei confronti dell'avvocato la misura della sospensione cautelare dall'esercizio della professione per la durata di mesi sei, con conseguente apertura del procedimento con il seguente capo di incolpazione: "per non avere mantenuto al di fuori della attività professionale, in violazione dell'art. 9 del Codice Deontologico Forense, un comportamento ispirato a probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense, 2 essendosi reso responsabile del reato di detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio (grammi 56 di cocaina), confessando, inoltre, anche di essere tossicodipendente, arrecando così disdoro alla reputazione, al decoro, alla dignità ed alla immagine della professione forense, anche alla luce della risonanza mediatica dei fatti in questione".
Nel corso del procedimento disciplinare l'incolpato ha ammesso le proprie responsabilità per i fatti oggetto di contestazione affermando di essere rimasto vittima della propria condizione di tossicodipendenza e manifestando l'intenzione di intraprendere un percorso di recupero.
Il Consiglio Distrettuale di Disciplina, ritenendo che la condizione di tossicodipendenza riconosciuta dall'incolpato fosse di per sé sufficiente a dimostrane la inidoneità all'esercizio della professione forense nel rispetto dei canoni deontologici del decoro, dignità e probità, ha applicato all'incolpato la sanzione della radiazione.
Avverso la suddetta decisione l'incolpato ha proposto ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense chiedendo l'applicazione di una sanzione meno afflittiva.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
In materia di trattamento sanzionatorio, il Consiglio ha rammentato che a norma dell'art.21 Nuovo Codice Deontologico Forense "Spetta agli Organi disciplinari la potestà di applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme, anche regolamentari, le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa". Tale disposizione, quindi, specifica i parametri generali da osservare nella individuazione della sanzione, che deve essere proporzionata alla violazione deontologica commessa, avuto riguardo
- alla gravità del fatto,
- al grado della colpa,
- alla eventuale sussistenza del dolo e alla sua intensità,
- al comportamentodell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive nel cui contesto è avvenuta la violazione.
Nel caso di specie, il Consiglio ha chiaramente riconosciuto la gravità del fatto, penalmente rilevante, della detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Tuttavia, oltre a tale elemento, ha affermato la necessità di valorizzare anche il parametro valutativo del comportamento dell'incolpato successivo al fatto nonché le circostanze soggettive nel cui contesto è stata commessa la violazione.
Infatti il Consiglio, prendendo atto di quanto emerso dalla documentazione allegata dal ricorrente, ha potuto constatare che:
- all'epoca dei fatti, l'incolpato versava in una condizione di intossicazione cronica da sostanze stupefacenti, il che fa ragionevolmente presupporre che una parte della sostanza stupefacente rinvenuta nella sua disponibilità, fosse effettivamente destinata al suo consumo personale;
- l'incolpato ha tenuto una condotta meritevole di apprezzamento consistente nell'intraprendere un serio percorso di recupero dalla dipendenza dalle sostanze stupefacenti.
Da ciò discende che, nel caso di specie, la sanzione deve essere determinata alla luce della resipiscenza dimostrata successivamente al fatto deontologicamente rilevante, contemperando la gravità della condotta con il percorso terapeutico dell'incolpato che consente la formulazione di un giudizio prognostico favorevole.
Conseguentemente, alla luce delle suesposte argomentazioni, il Consiglio ha ritenuto inadeguata ed eccessivamente afflittiva la sanzione della radiazione e, in parziale accoglimento del ricorso, ha rideterminato la sanzione irrogata in anni tre di sospensione dall'esercizio della professione.