Di Rosalba Sblendorio su Sabato, 09 Luglio 2022
Categoria: Deontologia forense: diritti e doveri degli avvocati

Avvocati dello stesso studio possono difendere due parti con interessi confliggenti?

Il dovere di astensione per gli avvocati sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale (art. 24 cdf , comma 5). La collaborazione continuativa e non occasionale tra i professionisti non si può desumente né dalla sola collaborazione professionale in tre o quattro pratiche in un lungo lasso di tempo, né da altri elementi, come l'uso comune di linee telefoniche e/o di servizi di posta elettronica, trattandosi di risorse logistiche neutre - a differenza della PEC – compatibili con una condivisione degli spazi di uno stesso studio riferibili anche a semplici rapporti di ospitalità e/o amicizia.

Questo è quanto ha ribadito il Consiglio nazionale forense (Cnf), con decisione n. 22 del 22 marzo 2022 (fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2022-22.pdf).

Ma vediamo nel dettaglio la questione.

I fatti del procedimento

Al ricorrente è stata comminata la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per due mesi per aver violato l'art. 24 cdf, commi 1 e 5. E ciò in considerazione del fatto che lo stesso non si sarebbe astenuto dal rappresentare e difendere un soggetto convenuto in giudizio avanti al Tribunale da un attore rappresentato e difeso da altro avvocato, che esercitava la professione nello stesso studio. 

In buona sostanza, è accaduto che nel corso del procedimento disciplinare, in base alle prove raccolte, il Consiglio distrettuale di disciplina (Cdd) ha dichiarato la responsabilità del ricorrente, applicando nei suoi confronti la sanzione suddetta in quanto: i) il legale dell'attore e il ricorrente, avvocato del convenuto, all'epoca dei fatti, erano colleghi di studio ed esercitavano attività professionale nei medesimi locali; ii) i due legali avevano i medesimi recapiti telefonici e lo stesso indirizzo mail; iii) la prova testimoniale aveva evidenziato che sebbene i due legali avessero collaborato solo in tre o quattro casi, le altre circostanze avrebbero logicamente fatto presumere una collaborazione di fatto tra i due legali e non una semplice condivisione di spazi di uno stesso studio a livello logistico.

Il caso è giunto dinanzi al Cnf.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità.

La decisione del Cnf

Il ricorrente impugna la sanzione comminata in quanto sostiene che non è stata provata in giudizio quella "collaborazione professionale non occasionale" , oggi richiesta dalla norma quale elemento aggiuntivo qualificante della fattispecie incriminatrice nel caso in cui i due professionisti che assistono clienti aventi interessi confliggenti esercitino negli stessi locali; anzi gli elementi probatori raccolti non solo non sono sufficienti per sostenere la tesi della collaborazione professionale "non occasionale" tra i due professionisti, ma provano il contrario, laddove il Cdd non ha adeguatamente valorizzato la circostanza della diversità delle PEC, unico strumento professionale qualificante dei due avvocati. 

 Dello stesso avviso è il Cnf.

Quest'ultima autorità fa rilevare che l'originario testo dell'art. 37 comma 2 del previgente cdf è stato novellato nell'attuale formulazione dell'art. 24 c. 5 ncdf con l'aggiunta dell'inciso "… e collaborino professionalmente in maniera non occasionale". La ratio di detta integrazione sta nel fatto che è stato necessario temperare e calmierare situazioni di incompatibilità sempre più frequenti per il fenomeno della ricorrente aggregazione, meramente di carattere logistico, tra più avvocati, richiedendosi ai fini della valutazione di situazioni di incompatibilità che oltre alla " coabitazione" vi sia tra i legali interessati, anche un rapporto di collaborazione professionale non occasionale. Orbene tornando al caso di specie, sebbene siano emersi elementi precisi e concordanti, tali elementi non sono apparsi sufficienti a dimostrare l'esistenza di un rapporto di collaborazione professionale non occasionale richiesto dal su citato art. 24. Non è stata raggiunta, infatti, la prova di tale collaborazione continuativa o, se vogliamo, non occasionale, tra i professionisti, laddove la stessa non può essere fatta discendere apoditticamente dalla sola collaborazione professionale in tre o quattro pratiche nell'arco temporale di quindici anni, né può essere desunta da altri elementi presuntivi come l'uso comune di linee telefoniche e/o di servizi di posta elettronica, trattandosi di risorse logistiche neutre - a differenza della PEC – compatibili con una condivisione degli spazi di uno stesso studio riferibili anche a semplici rapporti di ospitalità e/o amicizia.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Cnf ha accolto il ricorso e per l'effetto ha annullato la sanzione impugnata. 

Messaggi correlati