Di Anna Sblendorio su Lunedì, 04 Aprile 2022
Categoria: Il caso del giorno 2019 fino a 8/2019 - diritto e procedura civile

Avvocati. Delibera di apertura del procedimento disciplinare: idonea a interrompere la prescrizione

 Con sentenza n.10446/2022 del 31/03/2022, la Corte di cassazione VI Sezione civile ha affrontato la questione relativa all'idoneità degli atti propulsivi del procedimento disciplinare ad interrompere la prescrizione dell'azione disciplinare ex art.51 R.D. 1578/1933 a prescindere dalla successiva notifica degli atti stessi al professionista (fonte http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/).

Analizziamo la vicenda sottoposta all'esame dei giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il ricorrente è stato segnalato al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati per non aver adempiuto agli obblighi scaturenti dal contratto di prestazione d'opera professionale stipulato con il suo cliente.

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina ha avviato un procedimento disciplinare a carico dell'avvocato al termine del quale ha irrogato all'incolpato la sanzione disciplinare della sospensione dell'esercizio della professione per sei mesi.

Conseguentemente la decisione è stata impugnata dall'incolpato dinanzi al Consiglio Nazionale Forense che con sentenza ha rigettato l'impugnazione in quanto ha ritenuto

 L'avvocato incolpato ha, quindi, proposto ricorso per cassazione lamentando:

La decisione delle Sezioni Unite

Quanto alla prescrizione della delibera del Consiglio, le Sezioni Unite hanno ricordato il proprio costante orientamento secondo il quale, posto che "l'azione disciplinare si prescrive in cinque anni" ex art. art.51 R.D. 1578/1933, nella fase del procedimento disciplinare di carattere amministrativo dinanzi al Consiglio dell'ordine, l'atto di apertura del procedimento e tutti gli atti procedimentali di natura propulsiva o probatoria (consulenza tecnica d'ufficio, interrogatorio del professionista sottoposto a procedimento), o decisoria costituiscono validi atti di interruzione della prescrizione con effetti istantanei  conservano i propri effetti una volta prodottisi (cfr. S.U. Sentenza n. 21591/2013 richiamata). 

Ne consegue che anche la delibera di rinvio a giudizio dell'incolpata così come la delibera di apertura del procedimento disciplinare costituiscono atti idonei ad interrompere la prescrizione ai sensi dell'art. 51 R.D. cit. a prescindere dalla successiva notifica degli atti stessi al professionista  (cfr. S.U. Sentenza n. 21591/2013; S.U. n. 24966/2017,  S.U. n. 3171/2004 richiamate). 

Per quanto concerne la denuncia di documenti decisivi, la Corte ha evidenziato che quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l'onere di indicarli in modo specifico nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.), laddove l'espressione "indicarli in modo specifico" consiste nel: 

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati e con quale indicizzazione (ex multis, sentenze Sez.5 n.19048/2016; Sez. 5 n.14784/2015; S.U., n.16887/2013, richiamate).

Nel caso di specie le S.U. hanno rilevato che il ricorrente non ha assolto il primo e più importante di questi tre oneri; infatti il ricorso non riassume né trascrive il contenuto dei documenti che assume essere decisivi, che ha tardivamente prodotto e non sono stati esaminati dal Consiglio Nazionale Forense.

Infine la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente inammissibile la censura relativa all'entità della sanzione disciplinare in quanto tale censura investe un apprezzamento riservato alla discrezionalità del giudice di merito per cui "non può essere sindacata dalla Corte suprema di Cassazione, in sede di legittimità, l'entità della sanzione inflitta, in un procedimento disciplinare, dal Consiglio Nazionale Forense, in quanto rientra nei poteri degli organi disciplinari lo stabilire quali tra le sanzioni previste dalla legge meglio risponda alla gravità ed alla natura della trasgressione, tenuto conto dei procedimenti morali e disciplinari dell'incolpato, senza che, nell'applicazione di una, anziché di un'altra, delle sanzioni previste possa riscontrarsi una violazione di legge" (cfr. S.U. Sentenza n. 2122/1964).

Alla luce di queste considerazioni le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno rigettato il ricorso.

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