Sentenza di separazione e divorzio.
E' legittimo pensare che assegno di mantenimento prima e di divorzio poi, possano essere in qualche modo collegati?
E quindi pensare di poter ridurre l'assegno di mantenimento in considerazione del fatto che quello di divorzio risulta poi essere quattro volte inferiore rispetto al primo?
Questo l'interrogativo cui ha risposto la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 9345/2023 ove si sottolinea l'indipendenza di quanto accertato in sede di separazione durante il quale è stato concesso l'assegno di mantenimento, rispetto a quanto deciso in sede di divorzio.
E' stato quindi respinto il ricorso dell'ex marito di una donna che chiedeva l'adeguamento dell'assegno di separazione rispetto a quello divorzile, essendo quest'ultimo di gran lunga inferiore.
Ma, i Giudici hanno confermato quanto deciso dalla Corte d'Appello, che aveva stabilito che in riferimento al periodo compreso tra la data di deposito del ricorso per separazione e la data di deposito del ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, era dovuto dal coniuge separato un assegno di mantenimento di 1.800 euro mensili e non di 400 euro come per l'assegno divorzile.
Difatti, tenuto conto della permanenza del vincolo matrimoniale durante il periodo della separazione, i giudici avevano statuito tenuto conto di tale fattore e dalla verifica della disponibilità , in considerazione delle richieste e di redditi adeguati al mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Nella specie il marito un ex notaio in pensione, proprietario di numerosi immobili, la moglie insegnante in pensione anch'ella proprietaria di un immobile venduto in corso di causa per un importo rilevante.
Tali presupposti e la relativa verifica di disponibilità, avevano determinato, in considerazione della permanenza del vincolo matrimoniale in fase di separazione ed essendo ancora attuale il dovere di assistenza matrimoniale, tale assegnazione legata quindi al tenore di vita agiato e della sproporzione tra i redditi dei due.
Rigettando la richiesta di "riunione dei giudizi" da parte dell'ex marito, in quanto non vi è "connessione oggettiva", la Suprema Corte, ha ribadito che "in tema di regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi separati nella pendenza del giudizio divorzile, poiché l'assegno di divorzio traendo la sua fonte nel nuovo 'status' delle parti ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della pronuncia di risoluzione del vincolo coniugale, i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione continuano a regolare i rapporti economici tra i coniugi fino a tale momento e cioè al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.Un'eccezione può sussistere allorquando, il giudice si pronunci sullo scioglimento del vincolo con sentenza non definitiva e ritenga con adeguata motivazione ed in relazione alle circostanze del caso concreto di anticipare la decorrenza dell'assegno alla data della domanda, ai sensi dell'art. 4, comma 13, della l. n. 898 del 1970.
Un altro caso, quando nella fase presidenziale o istruttoria del giudizio siano emessi provvedimenti provvisori temporanei ed urgenti, che si sostituiscano a quelli adottati nel giudizio di separazione" (sul punto anche Cass. n. 3852/2021).
Va quindi riconosciuta senz'altro la piena autonomia sul piano sostanziale e processuale, dei procedimenti di separazione e di divorzio, oltre alla necessità di assicurare sempre continuità all'erogazione del contributo in favore del coniuge economicamente più debole.
Per tali ragioni le doglianze dell'uomo sono inammissibili.