Di Piero Gurrieri su Venerdì, 22 Dicembre 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Chiuderai e finirai a guardar pecore.... Cassazione delimita contenuti minaccia e conferma assoluzione

I giudici della Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 54879 del 6 dicembre 2017, hanno affermato che "auspicare" un danno ingiusto a terzi, non integra la condotta prevista dall´art. 612 c.p.. . Pertanto il reato di minaccia non sussiste tutte le volte che la frase intimidatoria utilizzata dall´agente sia impersonale ed evochi un danno ingiusto la cui realizzazione non dipende dalla volontà dell´autore.

Era accaduto che un soggetto era stato condannato in primo grado per il reato di minaccia previsto dall´art. 612 c.p. sol perché rivolgendosi nel corso di una udienza civile ad una terza persona gli aveva rivolto la seguente frase : "la C..... chiudera` e tu finirai a guardare pecore ... ti finira` male, vedrai".. Il Tribunale, quale giudice di appello, a cui si era rivolto l´imputato con l´impugnazione, aveva invece riformato la sentenza di primo grado pronunciando l´assoluzione dell´imputato perché il fatto non sussiste.
Avverso tale decisione proponeva ricorso in Cassazione la difesa della parte civile deducendo come unico motivo la violazione di legge ed il vizio motivazionale. Secondo il ricorrente il giudice di appello non avrebbe tenuto in debita considerazione le risultanze dibattimentali in ordine alle dichiarazioni rese dai due testi che avevano confermato le minacce rivolte alla parte offesa. Il giudice inoltre avrebbe errato nell´escludere la valenza minatoria delle frasi profferite dall´imputato.
I giudici della Quinta Sezione hanno ritenuto il ricorso infondato e pertanto lo hanno rigettato senza rinvio, in quanto hanno ritenuto escludere la sussistenza del reato" non perchè non sia stato accertato uno stato di intimidazione nè perchè sia stata esclusa la ingiustizia del male, ma perchè si è ritenuto che: "le frasi pronunciate fossero niente più che un auspicio o una previsione dell´imputato che l´attività della persona offesa non sarebbe andata a buon fine" (pagina 5 della sentenza impugnata).
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Tale valutazione, che non è stata criticata dal ricorrente, è corretta alla luce della giurisprudenza della Corte di legittimità, secondo cui non può parlarsi di minaccia quando il male non sia prospettato come dipendente dalla volontà dell´agente (Sez. 5, n. 35763 del 20/09/2006, Rozzini, in motivazione).
Si allega sentenza
Avv. Pietro Gurrieri
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