Con sentenza n. 48332 del 23 ottobre 2018, la Corte di Cassazione, Sezione penale, ha affermato che la facoltà di arresto da parte dei privati, prevista dall'art. 383 c.p.p., è subordinata alla circostanza che questi consegnino l'arrestato alla polizia giudiziaria senza ritardo, e cioè nel più breve tempo possibile, in modo da evitare che una misura eccezionale si trasformi in un sequestro di persona dell'arrestato. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità. Il ricorrente è stato accusato di avere trattenuto un minore, privandolo della sua libertà personale e costringendolo a salire sulla propria autovettura, legato ad una corda. Secondo il ricorrente, il minore sarebbe stato colto in flagrante a rubare i cuccioli di cane di proprietà dell'imputato. A parere del minore, invece, la condotta del ricorrente non è compatibile con il caso di arresto operato da privati ai sensi dell'art 383 c.p.p., non avendo quest'ultimo provato lo stato di flagranza e non essendo avvenuta, la consegna all'autorità, senza ritardo, come previsto dalla suddetta norma. Orbene, il caso, giunto in Corte d'Appello, è stato deciso con condanna dell'imputato. In buona sostanza, secondo i Giudici, quest'ultimo:
- ha portato il giovane dai suoi vicini di abitazione al fine di indagare sulle sue esatte generalità;
- ha compiuto attività che hanno ritardato la consegna del minore all'autorità;
- ha utilizzato mezzi di contenzione la cui necessità non è stata provata;
- dopo avere conosciuto le generalità del giovane e la sua età, ne ha mantenuto la restrizione fisica.
Tali condotte, a parere della Corte territoriale, sono in espressa violazione della disposizione di cui all'art. 383 c.p.p. su richiamato. A fronte della decisione a sé sfavorevole, l'imputato ha deciso di impugnare la sentenza di secondo grado e la questione è stata sottoposta all'esame della Suprema Corte di Cassazione. Innanzitutto, è bene precisare che la norma su indicata, contenuta nell'art. 383 c.p.p., pur prevedendo la facoltà in capo ai privati di procedere all'arresto in flagranza, detta alcuni limiti, ossia:
- tale tipo di arresto deve riguardare i delitti perseguibili di ufficio;
- la persona che ha eseguito l'arresto deve senza ritardo consegnare l'arrestato e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria la quale redige il verbale della consegna e ne rilascia copia.
Se tali limiti non sono rispettati, come nel caso in cui il privato ritardi nel consegnare l'arrestato alla polizia, il privato stesso rischia, a sua volta, di essere accusato di un illecito penale, quale appunto il sequestro di persona. Infatti, nell'ipotesi di cui all'art. 383 c.p.p., determinante, ai fini della legittimità dell'arresto, è la circostanza che la persona arrestata non sia trattenuta dai privati, intervenuti nell'operazione, oltre il tempo strettamente necessario per l'esecuzione della consegna agli organi di Polizia (Sez. 5, n. 1603 del 04/05/1993, Rv. 195385). Orbene, tornando al caso di specie, è stato provato che il ricorrente, avendo colto in flagrante il minore, ha posto in essere una serie di condotte che hanno superato i limiti suddetti. Il suo comportamento, inoltre, è stato ritenuto ancor più grave per il fatto che l'arrestato è un soggetto di minore età. Sulla base di tali considerazioni, pertanto, i Giudici di legittimità hanno reputato condivisibile quanto statuito dalla Corte d'Appello, ossia l'impossibilità di considerare applicabile alla fattispecie in questione l'art. 383 c.p.p.
Con l'ovvia conseguenza che le doglianze del ricorrente in punto sono da ritenersi infondate. Tutt'al più, nel caso di cui stiamo discorrendo, la fondatezza delle ragioni del ricorrente si rinvengono solo ed esclusivamente con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall'art. 62, c.p., n. 6. Secondo tale ultima disposizione citata, il reato può essere attenuato:
- se, prima del giudizio, l'imputato abbia riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni;
- se, prima del giudizio, l'imputato si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Orbene, tornando alla fattispecie in esame, i Giudici d'Appello hanno omesso di pronunciarsi su un motivo che non era generico posto che con esso l'imputato aveva lamentato l'erroneità della decisione del primo giudice sia in riferimento al suo preteso ravvedimento, sia in relazione alla congruità della somma di denaro offerta a ristoro del danno. Tale omissione costituisce un vizio della sentenza impugnata dal momento che ha impedito di esaminare la possibile applicazione dell'art. 62, c.p., n. 6, e quindi di prendere in considerazione la circostanza attenuante avente ad oggetto l'avvenuta proposta di risarcimento del danno formulata dal ricorrente. Questo, sebbene i motivi di impugnazione dell'imputato in merito all'applicabilità dell'art. 383 c.p.p. non siano stati ritenuti fondati, ha indotto la Suprema Corte di Cassazione ad annullare la sentenza di secondo grado, limitatamente alla configurabilità dell'attenuante di cui all'art. 62, c.p., n. 6, con rinvio per un nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di Appello.