Di Irene Coppolino su Giovedì, 15 Settembre 2022
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Applicazione e sostituzione delle misure di sicurezza personali, in particolare con riferimento al caso di infermità psichica sopravvenuta

Corte di Cassazione, sez. penale, sollevava questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3, 27, 32 e 117, comma 1, Cost., nella parte in cui tale previsione di legge non prevedeva la applicazione della detenzione domiciliare anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta durante l'esecuzione della pena. 

In particolare tale questione si riferiva al caso di un detenuto che aveva fatto ricorso avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza che non aveva accolto la sua richiesta di differimento della pena per grave infermità ai sensi dell'art. 147 c.p., poiché applicabile ai soli casi di grave infermità fisica e non psichica.

Sul punto è intervenuta la Consulta, affermando che la mancanza di qualsiasi alternativa al carcere per chi, durante la detenzione, è colpito da una grave malattia mentale, anziché fisica, crea  un vuoto di tutela effettiva del diritto fondamentale alla salute e si sostanzia in un trattamento inumano e degradante quando provoca una sofferenza così grave che, cumulata con l'ordinaria afflittività della privazione della libertà, tale da pregiudicare ulteriormente la salute del detenuto.

Quindi vi è stato un accoglimento da parte della Corte Costituzionale che ha accolto la questione sollevata dalla Corte di Cassazione e il suo rimedio, ossia l'applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare cosiddetta "umanitaria" o "in deroga", riconoscendo al giudice il compito di verificare se il detenuto debba essere trasferito, invece di rimanere in carcere, fermo restando che ciò non può accadere se il giudice ritiene prevalenti nel singolo caso le esigenze della sicurezza pubblica. 

Sulla base di ciò, è possibile nei casi di grave infermità psichica sopravvenuta che si possa disporre l'applicazione della detenzione domiciliare al condannato, anche in deroga ai limiti di cui allo stesso art. 47-ter, comma 1.

Alla luce di quanto detto, era accaduto che un detenuto condannato per concorso in rapina aggravata aveva fatto ricorso avverso un'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma che non aveva accolto la sua richiesta di differimento della pena per grave infermità ai sensi dell'art. 147 del codice penale, in quanto applicabile solo ai casi di grave infermità fisica, mentre nel caso di specie il detenuto risultava affetto da «grave disturbo misto di personalità, con predominante organizzazione border line in fase di scompenso psicopatologico», accertato in seguito a gravi comportamenti autolesionistici. Il giudice si era pronunciato stabilendo che si trattava di una patologia grave e radicata nel tempo, per la quale la detenzione determinava quindi un trattamento contrario al senso di umanità.

La Corte rimettente, alla luce dei fatti, confermava il proprio costante orientamento, fatto proprio anche dal provvedimento del Tribunale di sorveglianza, secondo cui il detenuto portatore di infermità esclusivamente di tipo psichico sopravvenuta alla condanna non può accedere né agli istituti del differimento obbligatorio o facoltativo della pena previsti dagli artt. 146 e 147 c.p., né alla detenzione domiciliare cosiddetta "in deroga" di cui alla disposizione censurata, posto che nel testo di tale disposizione vengono richiamate esclusivamente le condizioni di infermità fisica di cui agli artt. 146 e 147 c.p..

L'assetto normativo attuale, in definitiva, impedirebbe al condannato affetto da grave infermità psichica sopravvenuta, qualora il residuo di pena sia superiore a quattro anni o si trovi in espiazione per reato ostativo, di accedere sia all'istituto del differimento della pena (artt. 146 e 147c.p..), sia al ricovero in OPG di cui all'art. 148 c.p., sia alla collocazione nelle REMS, sia alla detenzione domiciliare "in deroga".

Inoltre, la situazione del detenuto portatore di questo tipo di infermità sarebbe caratterizzata da aspetti di manifesto regresso trattamentale dato che, da una parte, l'ingresso nelle articolazioni per la salute mentale non è oggi frutto di una decisione giurisdizionale, come invece era in passato per il collocamento in OPG, bensì di una decisione dell'amministrazione, la cui discrezionalità tra l'altro è condizionata da fattori non dominabili quali il sovraffollamento delle strutture; e, dall'altra parte, l'idoneità del trattamento praticabile all'interno di tali articolazioni non è previamente verificato in sede giurisdizionale da parte della magistratura di sorveglianza.

Messaggi correlati