Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 06 Febbraio 2021
Categoria: Di Libri di altro

Antonio Scurati, “M. L’uomo della provvidenza” Un romanzo storico

 Lo scorso settembre, Antonio Scurati ha pubblicato, edizioni Bompiani, il secondo volume della triade su Mussolini, "M. L'uomo della provvidenza".

Due anni fa ci eravamo occupati del primo volume, "M. Il figlio del secolo", che affrontava il periodo che va dal 1919, "I fasci di combattimento" fino al 1924 il delitto Matteotti.

In questo secondo volume analizza gli anni che vanno dal 1925 al 1932.

Un'indicazione interessante la troviamo sulla copertina del libro:"Romanzo". E l'Autore lo precisa già, ricorderanno i lettori, nel primo volume: "Fatti personaggi di questo romanzo documentario non sono frutto della fantasia dell'autore. Al contrario ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso qui narrato è storicamente documentato e/o autorevolmente testimoniato da più di una fonte. Detto ciò, resta pur vero che la storia è un'invenzione cui la realtà arreca i propri materiali. Non arbitraria, però".

Un romanzo storico, come precisa l'enciclopedia Treccani, ha come "… caratteristica di questo genere di romanzo è la mescolanza tra realtà dei grandi fatti storici narrati e finzione degli eventi che accadono ai personaggi". Un modello che nasce nell'Ottocento europeo con il russo Lev Tolstoj, "Guerra e Pace" (1812) con lo scozzese Walter Scott, "Rob Roy", 1818, e con il nostro Alessandro Manzoni, "I promessi sposi", 1927. Verso la fine del secolo scorso, Umberto Eco con "Il nome della rosa", 1980, dà vita ad un "neo-romanzo storico".

E, dal qualche anno, Antonio Scurati, con la sua prima opera, "Il rumore sordo della battaglia", 2002, inizia e continua su questa tradizione.

Ma per tornare al libro.

Come il primo volume, ogni capitolo è ricchissimo di documentazione storica, giornalistica ed è di piacevole lettura.

 Il 1925, si era aperto, con la famosa ammissione di Mussolini in Parlamento, 3 gennaio, "Io, io solo – aveva urlato - porto la responsabilità politica, morale, storica di quanto è accaduto. Io sono l'Italia, io sono il fascismo, io sono il senso della lotta, io sono il dramma grandioso della storia". Quindi rivendicava anche la responsabilità del delitto di Giacomo Matteotti.

Mussolini soffriva di un'ulcera duodenale, che lo costringeva a crisi periodiche: dolorose. Crisi che, il più delle volte, lo portavano ad addossare ad altri il mal funzionamento di tutto ciò che non funzionava nel Paese. E non era poco. Ma soprattutto niente doveva trapelare della malattia del Duce. E su questo faceva affidamento sui gerarchi del fascismo, minimizzando ogni e qualsiasi notizia che potesse destare sospetti sulla salute di Mussolini. Il controllo sulla stampa e sui mezzi di comunicazione era totale.

E, sulla malattia del Duce, troviamo un interessante lettera che il sedicente medico Poulain de Marceval gli aveva inviato da Nizza: "Eccellenza, se l'ulcera alla stomaco di cui soffre è situata nella parte alta dello stomaco (prima del diaframma), ritengo di esser certo di guarirvi senza operazione … unicamente con vegetali preparati come tisane. Tali piante sono totalmente inoffensive e hanno già guarito, dietro mie indicazioni, più di 20 pazienti colpiti dallo stesso male". I "santoni" e i negazionisti di ogni ordine e specie, si vede proprio, che sono una costante storica della nostra vita nazionale.

Ma nonostante i disturbi gastrici del Duce, il 1925 segna il confine tra il parlamentarismo e la dittatura, Così come si evince dall'Elogio ai gregari del 28 febbraio 1925: "Qui è il segno della nuova Italia, che si disimpegna una volta per tutte dalla vecchia mentalità anarcoide e ribellistica e intuisce che solo nella silenziosa coordinazione di tutte le forze, sotto gli ordini di uno solo, è il segreto perenne della vittoria … Meglio le legioni dei collegi [elettorali]!". In queste parole c'è il desiderio di Mussolini di "liberarsi" dalle squadracce, quelle più rissose e più violente, che tanto imbarazzo gli avevano creato sia con il delitto Matteotti, sia con il delitto del sacerdote don Giovanni Minzoni, ucciso ad Argenta, in Emilia Romagna, il 23 agosto dagli squadristi di Ravenna, su ordine di Italo Balbo. E sia con Roberto Farinacci, sia con Italo Balbo c'è uno scambio di missive dove sembra prevalere la prudenza. In sostanza: fate pure, ma cercate di farlo con furbizia, senza lasciare tracce appariscenti.

 Il 1926 si apre con un impegno categorico: "Il fascismo non ammette eterodossie … il fascismo ha vinto perché ha sempre stroncato sul nascere le tendenze, le correnti e anche le semplici differenziazioni: il suo blocco è monolitico. Il fascismo vince e vincerà finché conserverà questa ferocemente unitaria … Fede, dunque: non relativa, ma assoluta … fede nella rivoluzione fascista che avrà nel 1926 il suo anno napoleonico".

E' un periodo in cui le varie amanti di Mussolini, sia quelle ufficiale, tra queste Margherita Sarfatti, e le numerosissime occasionali, si innestano i primi attentati, tutti falliti, al Duce. Tra il 1925 e il 1932 se ne contano cinque.

Mussolini ha un bel da fare nel conciliare le esuberanza, della Sarfatti, soprattutto, e cercare di non fare esplodere le rivalità tra i vari movimenti fascisti, i vecchi e i nuovi, e le gerarchie.

Se da una parte Mussolini aveva dato un grosso aiuto alla chiesa cattolica nel fallimento delle banche, dall'altra viveva malissimo la situazione di "funesta" convivenza tra stato e chiesa.

Mussolini in una lettera ad Alfredo Rocco, ministro guardasigilli, autore di tutte le leggi liberticide e antidemocratiche dello stato fascista, scrive il 4 maggio 1926: "Il regime fascista, superando in questo, come in ogni altro campo, le pregiudiziali del liberalismo, ha ripudiato così l'agnosticismo religioso dello Stato, come quello di una separazione tra Chiesa e Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e materia … Ha sempre ritenuto il dissidio tra la Chiesa e lo Stato funesto per entrambi. E storicamente fatale in un tempo, più o meno lontano, il suo compimento".

E, non deve attendere molto. Infatti l'11 febbraio 1929 vengono firmati "I Patti lateranensi" dal cardinale Pietro Gasparri e dal presidente del consiglio Benito Mussolini.

Un Patto che, finalmente, mette fine alla "questione romana". E è che rappresenta per il Duce un grandissimo successo, non solo italiano, ma internazionale.