Di Rosario Antonio Rizzo su Sabato, 25 Giugno 2022
Categoria: Di Libri di altro

Antonio Calabrò, “I mille morti di Palermo”

 Archiviate le recenti elezioni amministrative, ora ci si occupa di quelle regionali. Almeno laddove si vota.

Come in Sicilia, per esempio. Dove si voterà per il rinnovo degli organi istituzionali regionali.

Se il buon giorno si vede al mattino, non è più un'ipotesi una vittoria del centro-destra, nelle regionali del prossimo mese di novembre se la Lega di Matteo Salvini e i Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, riusciranno a mettersi d'accordo.

A Palermo hanno conseguito un magnifico risultato, riuscendo ad eleggere il prof. Roberto Lagalla a sindaco della Città, che per le due amministrazioni precedenti, aveva avuto come sindaco Leoluca Orlando.

Il prof. Lagalla ha avuto due sponsor d'eccezione: Salvatore "Totò" Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, e l'ex senatore di Forza Italia, Marcello dell'Utri. Entrambi condannati per reati di mafia. Pene già scontate. Pur non potendo più partecipare ad incarichi pubblici, si sono mossi, chi come Salvatore Cuffaro alla "luce del sole", e chi, come Marcello Dell'Utri, ricevendo nell'antico Hotel del Sole di Palermo, quanti sono andati a chiedere intercessioni per il presente e per il futuro.

E Salvatore Cuffaro, in questa tornata amministrativa ha raggiunto risultati interessanti, con parecchi consiglieri comunali eletti anche in comune di media grandezza.

 Allora che fare?

Ecco il dilemma. Soprattutto "che fare" con quelle corte memorie che hanno già dimenticato gli omicidi, le stragi e le mattanze organizzate dalla mafia in Sicilia e in ogni dove.

Un libro molto interessante, pubblicato nel 2016 da Mondadori, Antonio Calabrò "I mille morti di Palermo" con un sopra titolo che è tutto un programma: "Uomini, denaro e vittime nella guerra di mafia che ha cambiato l'Italia".

Un libro che riepiloga tutto ciò che successe nella nostra Sicilia, dall'apertura del maxprocesso a Cosa nostra fino alle stragi di Capace e di via D'Amelio.

A Capaci, il 23 maggio di trent'anni fa, con Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo morirono gli agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonino Montinaro.

Mentre, 57 sette giorni dopo la strage di Capaci, il 19 luglio con un'auto bomba veniva ucciso il giudice Paolo Borsellino con i ragazzi della scorta: Emanuela Loi, Agostino catalano, Walter Cusina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli.

Tutto cominciò con il Maxiprocesso di Palermo: lo storico processo contro Cosa Nostra che coinvolse 475 imputati per diversi capi d'accusa, tra cui quello di associazione a delinquere di stampo mafioso. Si svolse nell'Aula bunker di Palermo tra il 10 febbraio 1986 e il 16 dicembre 1987.Il processo è considerato la prima vera reazione dello Stato Italiano nei confronti della mafia siciliana. I membri di Cosa Nostra furono per la prima volta condannati in quanto appartenenti ad un'organizzazione mafiosa unitaria e di tipo verticistico e fu possibile grazie alla nascita del cosiddetto Pool antimafia di Palermo la cui direzione unitaria permise ai giudici che ne facevano parte di avere una visione completa del fenomeno della mafia siciliana, almeno al livello militare. Oltre all'accentramento delle indagini nelle mani di un gruppo di magistrati specializzati, l'altro elemento di forza del Maxiprocesso fu l'utilizzo dei pentiti: in primo luogo Tommaso Buscetta e dopo Salvatore Contorno. Altri collaboratori permisero di squarciare il velo dell'omertà che aveva garantito l'invisibilità di Cosa Nostra per decenni.

 "Bombe, mitra, pistole, un arsenale da guerra per lo scontro tra clan mafiosi che insanguina la città dal 1979 al 1986, con un bilancio terribile: mille morti, 500 vittime per strada, altre 500 rapite e scomparse, lupara bianca. Una "mattanza", mentre il resto d'Italia vive l'allegra frenesia degli anni Ottanta. La "Milano da bere". E la Palermo per morire. L'escalation comincia il 23 aprile 1981, quando viene ucciso Stefano Bontade, "il falce", potente boss di Cosa Nostra. È un omicidio dirompente, che semina il panico nelle file delle più antiche famiglie mafiose, ribaltando gerarchie, alleanze, legami d'affari. Centinaia di altri morti seguiranno. Quasi tutti per mano dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano e dei loro alleati, i Greco, i Brusca, i Marchese: i boss in ascesa, che tramano, tradiscono, ingannano, uccidono per dominare il campo degli interessi: droga, appalti pubblici, armi, soldi. Tanti soldi. Non è solo una guerra interna alla mafia. Nel mirino dei killer, anche uomini con la schiena dritta al servizio delle istituzioni, come Piersanti Mattarella e Pio La Torre (alfieri del "buon governo" e di una politica efficace e pulita, contrapposta alle collusioni di Vito Ciancimino e alle ambiguità di Salvo Lima), Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Carlo Alberto dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Ninni Cassarà, e altri poliziotti e carabinieri, magistrati, giornalisti, medici, imprenditori che non si sono piegati alle intimidazioni…", come possiamo leggere in parte nella seconda di copertina.

Possiamo dire che lo Stato abbia vinto la guerra con Cosa nostra?

In parte. Infatti dopo il maxiprocesso e le stragi degli anni novanta, la mafia non ha organizzato più stragi e attentati.

Antonio Calabrò, profondo conoscitore di questa problematica, sostiene che la mafia, in ordine d'importanza, ha ceduto il passo alla ''ndrangheta calabrese", che ha invaso le provincie ricche del Nord Italia e controlla il mercato della droga, delle estorsioni, delle lucrose commistioni con le amministrazioni comunali e regionali.

Riconosce un nuovo atteggiamento della Chiesa, rispetto al passato, nei confronti della mafia. Come evidenzia la cattura di storici capi mafiosi, latitanti da moltissimi decenni. Prima o poi cadrà anche Matteo Messina Denaro.

Il libro del prof. Calabrò e ricchissimo di episodi, di ricordi, di memorie che dovrebbero togliere a qualsiasi persona di buona volontà il vecchio vizio di girarsi dall'altra parte davanti a problemi devastanti come quelli che riguardano il fenomeno mafioso.