Riferimenti normativi: Art. 28, commi 5 e 7, L. n. 184/1983 – Art.30, c.1, D.P.R. n.396/2000 - D.Lgs. n.196/2003.
Focus: Il diritto di conoscere le proprie origini costituisce un'espressione essenziale del diritto all'identità personale. Negli ultimi anni è aumentato il numero di figli adottivi che cercano di colmare frammenti della propria vita e di ricostruire la storia familiare sia attraverso la ricerca dei genitori che di fratelli e sorelle biologici. Se negli anni '70 la sensibilità e le leggi tutelavano la segretezza della famiglia biologica trattandosi di un tema delicato, oggi la tendenza è cambiata e si tiene conto del diritto dell'adottato di rafforzare l'identità personale e l'integrazione del sé attraverso la conoscenza della famiglia di origine.
Principi generali: Si premette che la disciplina normativa, dettata dall'art. 28 della L. n. 184/1983, con testo sostituito dalla L. n.149/2001, attribuisce al figlio adottivo, che abbia raggiunto l'età di venticinque anni, il diritto potestativo di accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei suoi genitori biologici (ferma ovviamente l'identità acquistata con la relazione di genitorialità esclusiva con il padre e la madre adottivi) inoltrando la richiesta al Tribunale dei minorenni della propria città di residenza.Tale diritto può essere esercitato anche prima dei venticinque anni dal figlio che abbia raggiunto la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica (mediante istanza di autorizzazione – non richiesta quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili – che deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza). Tuttavia tale richiesta trova un limite e non può essere avanzata nel caso in cui la madre sceglie di partorire in anonimato. La scelta dell'anonimato della madre biologica è stata rimessa in discussione nel 2013 da una sentenza della Corte Costituzionale che, attualmente, ha reso possibile al giudice interpellare la madre biologica, nel caso in cui un figlio la cerchi, dandole la possibilità di ripensare la sua scelta di anonimato, pur in assenza di linee guida dettate dal legislatore. Le lacune legislative sono state colmate da recenti sentenze della Corte di Cassazione che hanno fissato dei principi di diritto in una materia così delicata.
Sul contemperamento dell'interesse della donna a mantenere la scelta di anonimato del parto e il diritto del figlio non riconosciuto alla nascita, adottato da terzi, ad accedere alle informazioni che riguardano la sua origine naturale si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n.1946/2017. Il figlio nato da parto anonimo secondo la stesura originaria dell'art.28, comma 7, L.n.184/1983 non poteva accedere alle informazioni nei confronti della madre che aveva dichiarato alla nascita di non volere essere nominata (art. 30, c. 1, D.P.R. n.396/2000 ). In presenza dell'ostacolo dell'anonimato, quindi, il giudice non poteva fornire alcuna informazione identificativa al figlio in quanto la decisione assoluta e irreversibile della madre al momento del parto, in conformità con l'art. 93 del codice di protezione dei dati personali, vietava all'interessato l'accesso al certificato di assistenza al parto o alla cartella clinica, se non trascorsi cento anni dalla formazione di quei documenti.
Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 278/ 2013, pronunciatasi sulla questione di legittimità costituzionale del comma 7 del già citato art.28, è stata affermata l'esistenza del diritto dell'adottato (e comunque del) nato da parto anonimo a conoscere le proprie origini mediante interpello, da parte del giudice, della madre, secondo criteri di riservatezza, per assumere le informazioni sulla volontà della donna di mantenere ferma la dichiarazione di anonimato o di revocarla. Premesso ciò, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su un decreto di rigetto del Tribunale per i minorenni, confermato dalla Corte d'Appello di Milano, sezione delle persone, dei minori e della famiglia, in merito all'istanza del figlio maggiorenne, nato da parto anonimo, di verificare, attraverso un interpello riservato, la persistenza della volontà della madre di non essere nominata. Il pubblico ministero presso la Corte di Cassazione riteneva che, poiché il diritto del figlio non incontrava più i limiti del comma 7 dell'art. 28 della L. n. 184/1983, dichiarato costituzionalmente illegittimo, il giudice di merito, adito in sede di reclamo, avrebbe dovuto inoltrare l'interpello riservato alla madre naturale, per accertarsi se ella volesse o meno mantenere il riserbo dell'anonimato di fronte al desiderio del figlio di conoscere la sua identità naturale. Egli chiedeva, quindi, che la Corte enunciasse il corrispondente principio di diritto che il giudice del reclamo avrebbe dovuto applicare.
La Corte di Cassazione, poiché la norma che escludeva l'interpello della madre ai fini dell'eventuale revoca è stata rimossa dall'ordinamento fin dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, si è pronunciata nel senso che il giudice non può negare tout court al figlio l'accesso alle informazioni sulle origini per il solo fatto che la madre naturale aveva dichiarato, al momento della nascita, di voler essere celata dietro l'anonimato. Infatti, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, L. n. 184/1983, il giudice non può negare a priori la tutela del figlio ma ha la possibilità non solo di interpellare in via riservata la madre biologica per raccogliere la sua volontà attuale, quando c'è un figlio interessato a conoscere la sua vera origine, ma anche di dare preferenza alla scelta della donna ove persista nel diniego di svelare la propria identità, in quanto in tal caso il figlio non ha un diritto incondizionato a conoscere la propria origine e ad accedere alla propria storia parentale e non può ottenere le informazioni richieste. Di conseguenza, in attesa che il legislatore adempia al suo compito, il principio vincolante dichiarato dalla Corte costituzionale con la sentenza additiva fornisce indicazioni che consentono al giudice di assicurare, anche per il periodo transitorio, ai soggetti coinvolti la possibilità concreta di esercitare i loro diritti fondamentali: alla madre, di ritrattare eventualmente la scelta per l'anonimato, se è messa in condizione di cambiarla allorché il figlio si dichiari interessato a conoscere le sue origini; al figlio di accedere alle informazioni sulle sue origini e di definire così la sua identità naturale, sempre che la portatrice dell'interesse all'anonimato intenda revocare la dichiarazione iniziale, per effetto di una scelta rimessa alla sua valutazione e alla sua coscienza.
Nel caso in cui la madre sia morta, secondo la Corte di Cassazione civile, sez.VI – 1, pronunciatasi con ordinanza n.3004 del 7/2/2018, il figlio ha il diritto di conoscere le proprie origini biologiche, in caso di parto anonimo, mediante accesso alle informazioni relative all'identità personale della madre, anche se non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto. In tal caso, non può considerarsi operativo, oltre il limite della vita della madre, il termine, previsto dal D.Lgs.n.196/2003, che consente l'acquisizione dei dati relativi alla propria nascita decorsi cento anni dalla data del parto. Una diversa soluzione determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte e la definitiva perdita di un diritto fondamentale del figlio, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto.
Secondo la Cassazione l'interpretazione della norma che consideri l'intervenuta morte della donna un ostacolo assoluto al riconoscimento del diritto a conoscere le proprie origini da parte dell'adottato determinerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra i figli nati da donne che hanno scelto l'anonimato ma non sono più in vita e i figli di donne che possono essere interpellate sulla reversibilità della scelta fatta alla nascita. Il diritto all'identità personale del figlio, da garantirsi con la conoscenza delle proprie origini, anche dopo la morte della madre biologica, non esclude la protezione dell'identità "sociale" costruita in vita da quest'ultima, in relazione al nucleo familiare e/o relazionale eventualmente costituito dopo aver esercitato il diritto all'anonimato. Il trattamento delle informazioni riguardanti le origini dell'adottato deve essere eseguito, perciò, in modo corretto, per evitare un danno all'immagine, alla reputazione, e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari).
Altra questione su cui si è pronunciata la Cassazione, sez.I civ.,con sent. n.6963 del 20 marzo 2018 e che merita attenzione è il diritto di informazione dei legami familiari, cioè sia sull'origine ed identità dei genitori biologici che sulla relazione con sorelle o fratelli biologici. La Corte Suprema ha riconosciuto che l'adottato ha diritto di conoscere le proprie origini, nei casi di cui all'art.28, comma 5, L.n.184/1983, accedendo alle informazioni concernenti non solo l'identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle dei componenti del nucleo familiare biologico-genetico, diversi dai genitori, cioè delle sorelle e fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all'ac-cesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell'esercizio del diritto. Nel caso di specie la Corte di Appello di Torino, sezione minori e famiglia, confermando quanto deciso dal Tribunale per i minorenni, ha rigettato l'istanza dell'adottato maggiore di età di acquisire le generalità delle proprie sorelle adottate da famiglie diverse. La Corte di Cassazione ha ritenuto che, mentre è riconosciuta la netta preminenza del diritto dell'adottato rispetto a quello dei genitori biologici, la medesima soluzione non è applicabile anche al diritto di conoscere l'identità delle proprie sorelle e fratelli, stante la radicale diversità della loro posizione rispetto a quella dei genitori biologici. Ciò in quanto può determinarsi una contrapposizione tra il diritto del richiedente di conoscere le proprie origini e quello delle sorelle e dei fratelli a non voler rivelare la propria parentela biologica. Di conseguenza, soltanto nei confronti dei genitori biologici si può configurare un diritto potestativo del soggetto adulto che vuole accedere alle informazioni sulle proprie origini. Invece nei confronti delle sorelle e dei fratelli deve ritenersi necessario procedere, in concreto, al bilanciamento degli interessi tra chi chiede di conoscere le proprie origini e chi, per appartenenza al medesimo nucleo biologico familiare, può soddisfare tale esigenza.