Va condannata al risarcimento dei danni, per violazione dei principi di buona fede e correttezza, l'amministrazione comunale, che stipulando un accordo con il privato, abbia ingenerato in quest'ultimo un legittimo affidamento in ordine alla possibilità di realizzare un impianto di trattamento dei rifiuti su un'area poi assoggettata a vincolo ambientale.
E' questo quanto affermato dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5514 pubblicata il 20 giugno scorso, decidendo sul ricorso diretto all'annullamento di una variante urbanistica che aveva vietato la realizzazione di nuovi impianti di trattamento di recupero dei rifiuti su tutto il territorio comunale.
L'impugnazione era stata proposta da una società che aveva stipulato con un ente comunale un accordo che le consentiva di individuare ed acquistare, nel sito del comune, un'area per l'installazione di un impianto per il recupero dei rifiuti, con l'obbligo, ulteriore, di bonificare tale area dall'amianto.
Conformemente agli impegni assunti, la società, dopo aver acquisito l'area, aveva versato al Comune le somme concordate, impegnandosi a bonificare l'area.
Dopo la conclusione dell'accordo, però, l'Unione dei comuni, costituito per gestire in modo congiunto anche la strumentazione urbanistica, aveva approvato una variante normativa introducente il divieto di realizzazione di nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche non pericolosi, nelle aree destinate ad insediamenti industriali, commerciali, artigianali e terziari, ricadenti in una fascia di rispetto di 500 metri da elementi di interesse paesaggistico e identitario, mutando, in tal modo, anche l'assetto urbanistico dell'area acquistata dalla società per effetto dell'accordo siglato con il comune.
Detta variante urbanistica veniva impugnata dalla società, nella parte in cui aveva vietato la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti.
Secondo il ricorrente, detta variante oltrepassava i limiti degli aspetti urbanistici, sconfinando nella tutela paesistico-ambientale e della salute, che esulavano dalle competenze sia del Comune che dell'Unione.
Sempre secondo la società, inoltre, la variante impugnata aveva leso la propria aspettativa qualificata al mantenimento dell'assetto urbanistico previgente all'adozione della stessa.
Il Consiglio di Stato, dopo aver confermato la legittimità della variante, ritenuta espressione delle legittime prerogative istituzionali sia dell'ente Comunale che, di riflesso, dell'Unione delegata, ha accolto la richiesta risarcitoria del ricorrente reputando l'accordo siglato con il Comune produttivo di una legittima aspettativa del contraente privato.
In particolare, si legge infatti nella sentenza in commento, si tratta di una responsabilità civile per lesione dei principi di buona fede e affidamento, anche in relazione ai doveri di informazione, che devono essere rispettati, avuto riguardo alla specificità della fattispecie in esame, anche nell'ambito di un rapporto pubblicistico.
Il Consiglio di Stato, ha, perciò, condannato il Comune al pagamento, in favore della società appellante, delle spese da essa sostenute in data antecedente all'adozione della variante urbanistica.