Inquadramento normativo: Art. 445 bis c.p.c.; L. 222/1984; Art. 696 bis c.p.c.; Art. 10, co. 6 bis, D.L. n. 2003/2005 (conv. in Legge n. 248/2005).
L'accertamento tecnico preventivo obbligatorio (ATPO): «Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente presso il Tribunale nel cui circondario risiede l'attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere». L'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo interrompe la prescrizione e costituisce condizione di procedibilità. Successivamente al deposito della richiesta di espletamento dell'accertamento tecnico, viene nominato un consulente tecnico d'ufficio (CTU) il quale, dopo aver prestato giuramento, fissa l'inizio delle operazioni di consulenza.
Inammissibilità dell'accertamento tecnico preventivo: Quando il giudice dichiara inammissibile il ricorso per accertamento tecnico preventivo, la relativa ordinanza:
- non incide con effetto di giudicato sulla situazione soggettiva di natura sostanziale. E ciò in considerazione del fatto che l'interessato può sempre promuovere il ricorso nel merito;
- non è ricorribile per Cassazione;
- impedisce la dichiarazione di improcedibilità, costituendo atto finale del procedimento sommario in questione.
(Cass. n. 8932/2015; n. 22721/2016, Cass. Lav., sentenza n. 16685/2018, richiamate da Tribunale Venezia Sez. lavoro, sentenza 26 febbraio 2019).
Le operazioni del CTU e la contestazione: Quando il ricorso per ATP non è inammissibile, terminate le operazioni peritali, il giudice, «con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio».
L'esito delle operazioni svolte dal CTU non è pienamente definito sino a quando non è deposita la relativa relazione. Ove le parti non condividono tale esito, possono ricorrere al rimedio della dichiarazione di dissenso. In buona sostanza, le parti possono contestare le risultanze del CTU:
- in primo luogo con la dichiarazione di dissenso;
- in secondo luogo con la proposizione della domanda giudiziale; una domanda, questa, che non incontra preclusioni in relazione alle argomentazioni difensive, anche di natura tecnica, che possano essere svolte nel suddetto ricorso.
(Cass. civ. Sez. VI - Lavoro, n. 14880/2018).
Nei casi in cui le parti contestino le conclusioni del consulente tecnico di ufficio devono, a pena d'inammissibilità, specificarne i motivi non già con la presentazione della dichiarazione di dissenso, ma direttamente con il successivo ricorso introduttivo del giudizio. E ciò in quanto - in assenza di interlocuzioni con il giudice o con la controparte, non previste legislativamente in questo tipo di procedimento, - «è processualmente inutile anticipare la specificazione delle ragioni di contestazione al momento della dichiarazione suddetta, tanto più che a quest'ultima potrebbe anche non seguire l'introduzione del giudizio di cognizione» (Cass. n. 12332/2015, richiamata da Cass. civ. Sez. VI - Lavoro, n. 14880/2018).
Natura della dichiarazione di contestazione: La dichiarazione di contestazione è qualificabile come "atto processuale" atteso che il suo deposito costituisce:
- la condizione per la proposizione del giudizio di merito, a cognizione piena;
- il momento dal quale decorre il termine di trenta giorni per il successivo deposito del ricorso introduttivo del predetto giudizio.
«Ne consegue, pertanto, che ove il termine per il deposito della dichiarazione di contestazione scada nella giornata del sabato la scadenza è prorogata al primo giorno seguente non festivo» (Cass. civ. Sez. VI - Lavoro, n. 24408/2018).
Assenza di contestazione e decreto di omologa: In assenza di contestazione, il giudice emette il decreto di omologa non impugnabile, né modificabile. Si tratta di un provvedimento con cui ci si limita a recepire le condizioni sanitarie accertate dal CTU, che sono idonee a concludere la fase preliminare. Ne deriva che il decreto di omologa che si discosti dalle conclusioni dell'ausiliare risulta viziato da mero errore materiale, emendabile con la procedura di correzione (Cass. n. 26758/2016, n. 19062/2017, richiamate da Cass. civ. Sez. VI - Lavoro, n. 3668/2019). Il decreto in questione va notificato agli enti competenti, che provvedono al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Funzione del termine di 120 giorni: Il termine di 120 giorni, entro cui gli enti competenti sono tenuti al pagamento delle prestazioni di invalidità, ha la funzione di assegnare agli enti predetti un lasso di tempo per potere procedere alla verifica di tutti i requisiti richiesti per il pagamento innanzi enunciato. Il termine in questione, inoltre, pone un limite all'interessato, ossia quest'ultimo prima dei 120 giorni non può agire per costituirsi un titolo esecutivo nei confronti della controparte (Corte Appello Catania sezione lavoro n. 1051/2018, n. 65/2019, richiamate da Tribunale Catania Sez. lavoro, sentenza 15 febbraio 2019).
Le liquidazione delle spese nel procedimento per accertamento tecnico preventivo obbligatorio: Quanto al regime delle spese, con il decreto di omologa, il giudice provvede alla loro compensazione quando il riconoscimento della prestazione richiesta decorre da epoca successiva non solo alla domanda amministrativa, ma anche al deposito del ricorso per ATP (Tribunale Caltanissetta Sez. lavoro, sentenza 18 gennaio 2018)