Di Elsa Sapienza su Venerdì, 27 Maggio 2022
Categoria: Famiglia e Conflitti

No alla contribuzione in caso di inerzia della figlia maggiorenne

 L'articolo 337 septies, comma I, codice civile sancisce che "Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto.

In tal modo si stabilisce l'obbligo di mantenere i figli anche se maggiorenni e di conseguenza non può ritenersi sussistente, ipso facto, il venir meno di tale obbligo per il solo fatto che il figlio raggiunga la maggiore età.

La ratio di tale obbligo è garantire al figlio di perseguire i propri obiettivi nel rispetto delle sue capacità ed inclinazioni naturali e aspirazioni, così come sancito dall'articolo 147 codice civile.

Tale obbligo però non può essere eterno ed è doveroso evitare che l'inerzia dei figli vada a scapito dei genitori.

Ecco la ragione che ha portato alle ultime pronunce della Corte di Cassazione come ad esempio la sentenza n. 40282 del 2021, secondo la quale il genitore non può essere obbligato al mantenimento del figlio maggiorenne, se questi ha stipulato un contratto di lavoro, seppur a tempo determinato, evidenziando così la Corte l'importanza della retribuzione adeguata e l'inserimento nel mondo del lavoro che dimostra il possesso di quelle capacità lavorativa tale da poter determinare la cessazione dell'obbligo , così come affermato in precedenza da una pronuncia della Corte d'Appello di Perugia del 10 settembre 2020, n. 398.

Le condizioni sopra dette, non determinano tuttavia la cessazione automatica del venir meno dell'obbligo dovendosi valutare caso per caso.

 Veniamo ora alla recente questione esaminata dalla Suprema Corte e decisa con l'ordinanza n. 16771/2022 intervenuta nel caso della presunta mancanza di volontà di una figlia a rendersi economicamente indipendente.

La questione si origina dalla richiesta di aumento dell'assegno di contribuzione da 300 a 800 euro da parte dei due figli al proprio padre a seguito dell'avvenuto divorzio.

Il Tribunale aveva revocato l'obbligo di contribuzione mensile ai figli, mentre, la Corte in sede di reclamo, ripristinava la misura dell'assegno secondo quanto era stato stabilito in sede di divorzio.

Vengono infatti in rilievo alcuni fatti, come ad esempio l'abbandono dell'Università della figlia di 22 anni senza aver dato esami e successivamente il rifiuto da parte di quest'ultima di due offerte di lavoro procuratele dal padre. Inoltre in svariate occasioni ella aveva dimostrato poca costanza ed una forte indecisione sul proprio futuro; non lo stesso ragionamento veniva fatto dalla Corte nei riguardi del figlio appena divenuto maggiorenne e quindi in una fase in cui ancora è comprensibile progettare il proprio futuro.

Alla luce di questa decisione, i figli ricorrono in Cassazione sollevando alcune questioni.

 In particolare, la figlia ritiene esserci stato un travisamento dei fatti, poiché il giudice aveva male interpretato le ragioni del rifiuto delle offerte lavorative, pertanto, nega di non volere intraprendere un percorso formativo; entrambi i figli lamentano poi motivazione apparente del provvedimento ed il fatto che, stante il venir meno di ogni rapporto con il padre, la richiesta andava accolta alla luce del miglioramento delle condizioni economiche di quest'ultimo per una sopravvenuta eredità.

La Cassazione rigetta il ricorso, poiché , il primo motivo è ritenuto inammissibile trattandosi di critica astratta e generica e non si capisce per quali ragioni la Corte avrebbe violato i principi giurisprudenziali in materia di mantenimento dei figli maggiorenni.

Il secondo motivo è, secondo il ragionamento svolto, manifestamente infondato avendo la Corte spiegato nel dettaglio le ragioni per cui non erano stati accolti i rilievi dei figli, le cui prove dimostravano il collegamento tra la mancata indipendenza economica della figlia con il suo rifiuto di accettare i lavori proposti, senza motivo e senza neanche avere manifestato inclinazioni o aspirazioni lavorative o formative diverse tali da giustificare il rifiuto.

La Corte ribadisce il fatto ormai acclarato che, il mantenimento dei figli non ha durata illimitata e che l'obbligo di corresponsione viene meno se il mancato raggiungimento dell'autonomia economica è frutto della mancanza di impegno verso un percorso formativo preciso.

Il terzo motivo è respinto in quanto la perdita dei rapporti padre – figli non ha comportato un disinteresse verso questi ultimi ed anzi la Corte a proposito del supposto miglioramento delle condizioni economiche rileva invece una contrazione dei redditi a causa di sopravvenuti problemi di saluti del padre.

In conclusione, la mancanza di progettualità anche di tipo formativo ed il rifiuto ingiustificato di lavori, non consentono di avallare richieste di mantenimento dei figli che a causa di tali ragioni non sono ancora economicamente autonomi!

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