Lei è Lucia, luminosa come i suoi occhi, coraggiosa come una Siciliana. Sicilia, eterna colonia di Roma, Diocleziano celebra fasti Pagani, a Siracusa calarsi nelle viscere della terra per celebrare il Dio cristiano è l'unico modo per salvarsi la vita. La luna, le stelle della notte non si sono ancora dileguate, il pianto di una bimba, Eutichya al settimo cielo come ogni madre, il palazzo di nobili sfavilla di fiaccole e gioia. La fortuna è come il vetro, splende e in un attimo può frangersi, Lucia ha cinque anni ma non ha più il papà, diciotto e anche Eutichya è ormai sopraffatta dal male.
Agata, sarà lei a salvarti, vedrai mamma. Il Natale del 300, di preghiera e speranza. Ora è arrivato febbraio. Su, partiamo mamma, Catania non è poi lontana. Due donne in piedi davanti ai resti di un'altra, il ritorno a casa. 5 febbraio, il giorno dopo. Catania onora la sua Santa ricordando il martirio di 49 anni prima, lei per un attimo lascia Duomo e Vara, appare in sogno a Lucia mentre Siracusa è ancora lontana. "Sorella mia, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi concedere? La tua fede ha giovato a tua madre e come per me è beneficata Catania, così per te sarà onorata Siracusa". Un sogno, la realtà, Eutichya è guarita, Lucia dona tutto ai poveri. Da ricca che era, non ha più nulla eppure ha tutto. Diocleziano e Roma venerano dei inanimati, Lucia il suo lo incontra ogni giorno, per tre anni, negli occhi e nelle mani tese di infermi, bisognosi e vedove. Tutta Siracusa l'ammira estasiata. Un uomo, un nobile le è davanti. Tu mi eri stata promessa, sei mia o ti denuncio. Hai la peste, io lo so sei una cristiana.
Pascasio, il giudice, stenta quasi a crederci, Lucia lo affronta con la forza delle donne, e la sua fede. Io non rinnego nessuno e nulla temo, se anche mi conduceste, come minacciate, in un postribolo, il corpo si contamina solo se l'anima acconsente. Chi è, come osa, questa giovane ragazza parlarci così, che nessun uomo lo ha mai fatto? Che sia cosparsa di olio, posta su legna e torturata col fuoco, e poiché neppure le fiamme la sfiorano, sia ora finita di spada, le sia infisso un pugnale in gola.
Lucia, luce, come le albe luminose della Sicilia, che mai l'ha dimenticata. Sono passati milletrecento anni, ora è il 13 dicembre del 1646, anno di carestia e di morte. Una quaglia volteggia nel Duomo di Siracusa durante la Messa. Un grido squarcia il silenzio e annuncia l'arrivo al porto di un bastimento carico di frumento. Sì, è la sua risposta alle nostre preghiere. Tutta Siracusa è in festa, dice che Lucia l'ha salvata, ancora.
Oggi è il 13 dicembre un'altra volta, i fuochi si sono accesi dappertutto: a Siracusa, a Napoli, chè di quella Città Lucia è compatrona, a Venezia che ne custodisce il corpo, perfino in Svezia. Le Geminidi, «le stelle di Santa Lucia» sono appena passate nei cieli, come ogni 13 dicembre, l'astro d'argento luccica sul mare. Siracusa, la Sicilia sono ancora in festa per Lucia, la Siciliana più amata di sempre, E quest'anno chiedono che dia a tutti noi occhi per poter assistere presto alla fine assoluta della pandemia, e fede per non abbandonarci al male.