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 L'avvocato può riservarsi di chiedere al proprio cliente un compenso maggiore di quello già indicato in precedenza. E può subordinare la restituzione al cliente della documentazione ricevuta per l'espletamento del mandato al pagamento delle spese e dell'onorario? Questi sono stati i temi affrontati dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 11 del 28 febbraio 2023.

Vediamo come si sono svolti i fatti sottoposti all'attenzione del Consiglio.

I fatti del procedimento

Due avvocati sono stati sottoposti a procedimento disciplinare per aver violato i doveri di lealtà, correttezza professionale e diligenza nei confronti della propria ex cliente, la quale aveva revocato loro l'incarico professionale chiedendo la restituzione dei fascicoli e la trasmissione di una nota delle competenze. Ma questa richiesta è stata disattesa dai due avvocati, nonostante fossero stati sollecitati anche dai nuovi difensori nominati dalla cliente.

Gli avvocati hanno inviato all'ex cliente nota spese comunicandole che avrebbero provveduto alla restituzione dei fascicoli solo dopo aver ricevuto il pagamento di quanto dovuto e successivamente hanno presentato un ricorso presso il Tribunale chiedendo una liquidazione di compensi maggiorati rispetto alla nota precedente.

Il CDD ha dichiarato la responsabilità disciplinare degli avvocati ed ha applicato loro la sanzione della censura per aver richiesto compensi aggiuntivi non previsti in precedenza e per non aver messo a disposizione della cliente la documentazione richiesta, subordinando tra l'altro il ritiro al pagamento della nota spese, contravvenendo al disposto di cui agli art.29 comma 5 e 33 CDF.

 Gli avvocati censurati si sono così rivolti al Consiglio Nazionale Forense lamentando l'insussistenza delle violazioni poiché,

  1. avrebbero apposto alla richiesta di pagamento della parcella una riserva relativa all'aggravio di ulteriori costi;
  2. essendo la cliente già in possesso di tutta la documentazione, non è parso loro necessaria la consegna dei documenti.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Quanto al primo motivo di doglianza relativo alla riserva di maggiori compensi, il Consiglio ha condiviso la tesi sostenuta dal CDD nel ritenere sussistente la violazione dell'art. 29, 5 comma del CDF. Infatti questa norma prevede che "L'avvocato, in caso di mancato pagamento da parte del cliente, non deve richiedere un compenso maggiore di quello già indicato, salvo ne abbia fatta riserva". Richiamando la propria giurisprudenza il Consiglio ha ricordato che "Vìola l'art. 29 ncdf (già art. 43 cdf), l'avvocato che, a causa del mancato spontaneo pagamento delle competenze professionali e senza averne fatto espressa riserva, richieda con una successiva comunicazione un compenso maggiore di quello già indicato in precedenza" (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 22 novembre 2018, n. 145).

Nel caso di specie i ricorrenti hanno eccepito di aver apposto la 'riserva di maggiori compensi' nella prima comunicazione di richiesta di pagamento sottolineando che in caso di mancato pagamento la ex cliente avrebbe subito un aggravio di ulteriori costi. Tuttavia il Consiglio ha evidenziato che "sia la normativa sia la giurisprudenza richiedono che la riserva di maggiori compensi debba essere espressamente indicata" con la conseguenza che la frase utilizzata dai ricorrenti non abbia espresso l'intenzione di richiedere maggiori compensi in caso di mancato pagamento alla prima richiesta. 

 In relazione alla violazione dell'obbligo di restituzione della documentazione alla cliente, il Consiglio ha ricordato il disposto di cui all'art.33 NCDF a norma del quale:

  • "L'avvocato, se richiesto, deve restituire senza ritardo gli atti ed i documenti ricevuti dal cliente e dalla parte assistita per l'espletamento dell'incarico e consegnare loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l'oggetto del mandato e l'esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale, fermo restando il disposto di cui all'art. 48, terzo comma, del presente codice" (comma 1);
  • "L'avvocato non deve subordinare la restituzione della documentazione al pagamento del proprio compenso" (comma 2).

Tra l'altro la mancata restituzione dei documenti è contraria anche al divieto di ritenzione exart.2235 c.c. a norma del quale "Il prestatore d'opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali".

Infatti il Consiglio ha più volte avuto modo di affermare che "L'omessa restituzione al cliente della documentazione ricevuta per l'espletamento del mandato va deontologicamente sanzionata, atteso che ai sensi degli artt.2235 c.c., 42 c.d. (ora, 33 ncdf) e 66 del R.d.l. n. 1578/33, l'avvocato non ha diritto di ritenere gli atti e i documenti di causa, né può subordinarne la restituzione al pagamento delle spese e dell'onorario" (ex multis Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 10 maggio 2016, n. 140; Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 10 maggio 2016, n. 138, Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 29 dicembre 2014, n. 215 Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 11 giugno 2015, n. 87)

Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso.